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Intervista a Paolo Ballardini, lo scrittore che ama condividere

di Laura Gorini

Viaggiare è condividere

Ama viaggiare, documentarsi, studiare e scrivere Paolo Ballardini. Possiede uno stile di scrittura asciutto e incisivo. Non ama gli orpelli e non ne ha affatto bisogno. Sa narrare e tenere incollato il lettore alle pagine del suo romanzo. In Miryam e Yosep ha ripercorso la vita dei genitori di Gesù, vedendolo come persone umane e senza fare l’errore di modernizzarle. Una scelta che si è rivelata decisamente vincente.

Paolo, quanto è stato determinante la sua passione per i viaggi per diventare un fervido scrittore?

Viaggiare e scrivere non sono facilmente separabili. Viaggiare è condividere. Se non si hanno a portata di mano le persone con le quali si vuole condividere un’esperienza, allora bisogna raccontargliela. Scrivere è più efficiente che raccontare a voce: si deve seguire un filo logico, si può rimuovere ciò che l’ascoltatore non troverebbe interessante, si distilla. Poi ci si accorge che si possono coinvolgere altre persone.

Le esperienze fuori dal quotidiano ispirano e forniscono idee. Queste idee si sviluppano silenziosamente e anche molto tempo dopo danno frutti nella forma di reportage, racconti, personaggi, ambienti e circostanze.

Di solito quando si immagina un viaggiatore lo si immagina con il classico block notes e la matita in mano, pronto a segnarsi riflessioni e appunti. Lei è così o anche in quei momenti ama affidarsi alla Tecnologia?

È più importante l’attitudine a osservare che il mezzo sul quale si prende nota dei pensieri. La notte e in particolare la zona di dormiveglia all’alba e prima di assopirsi sono momenti prolifici.

I pensieri mettono radici e riemergono in momenti impensati. Lo stereotipo dell’idea brillante che emerge durante la doccia del mattino contiene del vero. Poi si annota come capita: blocknotes, telefonino, iPad, il retro di una busta.

Nell’antichità si tramandava ogni cosa oralmente ed è anche per questo che un fatto veniva poi ricamato diversamente nel corso del tempo. Oggi che è cambiato tutto e nonostante i PC e gli altri supporti, tendiamo comunque a farlo. Fa forse un po’ troppo parte del DNA dell’uomo cambiare il racconto dei fatti secondo il suo punto di vista?

Rielaborare storie già raccontate è profondamente umano. Si contribuisce a un mito aggiungendo la propria versione a quella delle migliaia di narratori che ci hanno preceduto. Ogni nuovo tentativo amplifica alcuni aspetti della storia, ne crea di nuovi e li manipola a beneficio di un pubblico o di un’esigenza specifica.

La continua reinvenzione rafforza il mito, mantenendone la freschezza in condizioni storiche e culturali mutate. Il dogma invece ne limita il potenziale: tutto ciò che c’è da sapere è contenuto nella versione definitiva.

In Miryam e Yosep, il romanzo della Natività mi sono attenuto al senso del racconto originale e ho rappresentato i personaggi principali secondo le intenzioni generali dei narratori precedenti. Svincolato dai dogmi, Miryam e Yosep è una delle infinite ricostruzioni plausibili della scarna narrativa dei Vangeli.

La Storia oggi è ancora maestra di vita, come sostenevano gli antichi, oppure no?

Siamo il prodotto delle culture che ci hanno preceduto e la Storia custodisce la nostra essenza. Nella nostra epoca la manipolazione della verità è tollerata.

Ci vuole tempo e buona volontà per ricostruire cosa è probabilmente successo. La storia del predicatore, esorcista e guaritore che visse in Galilea duemila anni fa continuerà ad essere narrata in modi diversi, ciascuno dei quali contiene frammenti di verità.

Io ho cercato di trasformare il lettore in un personaggio antico, contemporaneo ai protagonisti. Forse questo è il pregio di questo libro: immergere il lettore nel mondo e nei miti del passato che hanno dato forma al fenomeno Gesù.

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