di Laura Gorini
“Matteo è immerso in un delirio ossessivo che lo consuma senza accorgersene…”
Criminologo, insegnante di Criminologia e scrittore, Domenico Romeo è un uomo che ama studiare l’essere umano e trarre per le sue opere personaggi molto differenti tra di loro e con storie toste da raccontare. In Odio Innocente, il suo più recente romanzo, ci ha presentato Matteo. Di chi si tratta? Ce lo ha spiegato direttamente l’autore.
Domenico, come è nata l’idea di scrivere di Matteo?
Potrà sembrare strano ciò che dico: “Odio Innocente” (Armando editore) lo scrissi nel 2009. Rimase un file fermo nel mio computer per tanti anni, ma la chicca è ancora un’altra: il romanzo ha un libro gemello che è “Romanzo Libanese” (Castelvecchi editore) già uscito nel 2022. Sono due libri completamente diversi, con storie diametralmente opposte. Il primo, “Romanzo libanese”, racconta la storia di una guerrigliera omosessuale libanese che si forma in piena guerra civile del suo paese, non ricambiata dall’amore verso una sua amica d’infanzia scappa in Europa, protetta dai servizi segreti francesi, per esportare il principio della guerriglia per poi fare ritorno in patria dopo anni trovando un paese profondamente cambiato.
Il secondo (“Odio Innocente”, per l’appunto) è ambientato nelle violenze ideologiche degli anni settanta in Italia in cui spicca la figura di Matteo che, ossessionato dalla morte di Pasolini, condurrà una vita immergendosi in teatri di violenze ideologiche e ricerca di verità. Avevo queste due storie in testa parallelamente e con la paura di non riuscire più a scriverle e che la mente potesse dissolverli, presi una decisione, ad oggi, irripetibile: la mattina scrivevo un romanzo, il pomeriggio l’altro romanzo.
In sei mesi, di getto, riuscii a scrivere due romanzi paralleli con storie assolutamente difformi in contesti non compatibili fra loro. Vi è ancora una particolarità: riguardo ad “Odio Innocente”, avendolo già tutto in testa, avevo deciso il titolo già prima di iniziare la stesura, diversamente da “Romanzo Libanese” il cui titolo lo scelsi alla fine del libro.
Era il Dicembre del 2009 e decisi di tenere tutto conservato nel drive USB, ultimati i lavori volevo solo concentrami a organizzare il mio matrimonio avvenuto, poi, qualche mese dopo (Giugno 2010). Negli anni a seguire, dopo avere fatto uscire altri libri, ripresi con il tempo questi due lavori e li trovai incredibilmente attuali nonostante fossero passati anni e, grazie a Dio, hanno avuto la loro luce.
Sono talmente diversi, in quanto “gemelli eterozigoti”, che molte persone stentano a credere che siano stati scritti dalla stessa persona e una figura cara che, in tutta sincerità, ha avanzato questo dubbio lo sa chi è? Incredibile a dirsi: mia madre. Ma non è la sola persona, sia chiaro, ci sono tante persone che avanzano perplessità su questo. Eppure è così.
La sua storia, tornando a Matteo, è decisamente tosta fin dall’inizio. Lui, però, prova sempre una certa forma di dolcezza per la mamma che si privava del pane di bocca, pur di sfamare lui e suo fratello, nonché per il padre, grande lavoratore. Eppure lui una famiglia tutta sua non l’ha mai avuta, paura forse di non essere all’altezza?
Il protagonista, spiega, sul finire del romanzo, il perché di questa sua scelta. La motivazione affonda nel turbine ideologico che aveva avvolto quest’uomo che coniugava la doppiezza morale nel servire ufficialmente lo Stato e, nel contempo, di nascosto, l’eversione neofascista clandestina. Questo essere immerso in tale vortice, finalizzato al tentativo di scoprire le cause dell’omicidio Pasolini venendo a colloquio con il suo presunto assassino, lo hanno reso scevro da legami stabili che lo avrebbero potuto distogliere, a suo dire, dalle sue uniche ragioni di vita. Preferisce rapporti violenti con prostitute che consuma anche alla presenza di altri “sodali”, in autentiche “ammucchiate”, perché, per l’appunto, slegati da ogni vincolo affettivo.
Potremmo anche dire che Matteo sia una persona profondamente disincantata?
Più che disincantata, direi immerso in un delirio ossessivo che lo consuma senza accorgersene.
Lui non conosce il significato della parola perdono e forse non ha nemmeno mai perdonato sé stesso per uno sbaglio compiuto da ragazzo in una situazione in cui il suo migliore amico ha subito un grave pestaggio. E’, dunque, un uomo vinto costantemente dal rimorso e, per certi versi, dal rimpianto?
Il senso di colpa è l’elemento trainante, il bisturi tagliente dei suoi anni. Non rimpiange nulla, non rinnega sé stesso in pieno delirio psicotico, specie quando ricama trame intessute con soggetti di varia natura: da rappresentanti dello Stato, a uomini della malavita, trafficanti di droga e personaggi di spicco del mondo marxista leninista. Il sottobosco degli anni settanta esplode in tutte le sue molteplicità…
Matteo pare quasi affascinato dall’Inferno, ne riprende il tema grazie a Pier Paolo Pasolini ma anche a Dante. Si è sempre percepito un’anima dannata o condannata a sbagliare?
La figura di un demone compare all’interno della narrazione. E’ uno specchio riflesso ed è figlio di riti messianici da lui compiuti in cui il desiderio di umiliare il nemico politico porta a conservare resti umani da offrire su un altare messianico. E’ una parte molto forte del romanzo, necessita avere uno stomaco molto duro, rimando al lettore, non mi dilungo.
La vendetta lo conduce e pare che sia ciò che lo faccia sentire vivo. Eppure concluderà la sua esistenza non da vendicatore. E’ stata forse una beffa, per quanto clamorosa, del destino?
Il finale stravolge tutta la narrazione e rimescola tutte le carte del destino. Avviene l’imponderabile e tutto ciò che non si potrebbe pensare. Non svelo nulla.
Matteo ci avrebbe mai creduto in esso o forse sarebbe stato più convinto dell’essere l’unico burattinaio della propria vita?
Tutta la sua vita è impiantata sulla sicurezza che lui ha credendo di gestire quei poteri che, in pieni anni settanta, definisce “non definiti” e “non definibili”. Si muove nel sottobosco dello spontaneismo armato credendo di tenere le fila e di arrivare alla verità sul caso Pasolini, ma con uno scossone violento si ricrederà quando non potrà fare più nulla e nel momento più inaspettato della vita Sarà lui stesso ad ammettere che sono stati quei poteri sopra citati a servirsi di lui, scoprendolo in una drammatica circostanza, in un luogo assolutamente impensabile dove viene condotto.
E tu? Che visione hai da autore e da uomo?
Per quanto mi riguarda ho una visione del tutto distaccata. I personaggi, le narrazioni e le ambientazioni da me descritte sono ovviamente lontane dalla mia vita, dalla mia indole, dalla mia storia vissuta fino al momento di uomo e di cittadino. Descrivo un’epoca contornata da psicologie sociali peculiari, con relativi quadri ideologici di supporto, ossessioni che sfociano in violenze e abissi profondi incastonati in narrazioni profondamente umane. Null’altro.