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Immaginate… per non immaginare più, salviamo Raif Badawi

Ehi, voi. Sì, dico proprio a voi. Fate un giochino con me?!?  Provate a chiudere gli occhi e a immaginare. Immaginate, in un giorno caldo, di trovarvi in una bella piazza, affollata. E di sentir contare. Uno, due, tre…dieci. Immaginate che ad ogni numero corrisponda un colpo, secco, assestato, sulla vostra schiena. Immaginate di sentire il botto, il bruciore e il dolore. Di tacere, mentre tutti attorno urlano. E poi undici, dodici, tredici…Immaginate di arrivare a cinquanta e ad ogni colpo trasferire il pensiero per non urlare, per non morire, per non crollare; di spostare il pensiero, magari a quei bimbi che ormai da anni sono dovuti fuggire, con vostra moglie, in un Paese dall’altra parte del mondo.
Immaginate ancora. Di lasciare quella piazza, dolorante, tra le urla trionfanti del popolo fedele, sapendo di doverci tornare tra una settimana, per altri cinquanta colpi, altri cinquanta inesorabili botti di dolore e lenta mortificazione, corporale e morale. Riuscite ad immaginarlo?
Non riaprite gli occhi, ancora per pochi minuti, immaginate ancora. Di saper di dover arrivare fino a mille colpi in venti sedute settimanali.
Di soffrire fino al punto che un medico del carcere dichiara il rischio di morte se si arrivasse anche solo alla cinquantunesima frustata.
Immaginate di aver la consapevolezza che il cinquantunesimo colpo potrebbe all’improvviso, da un giorno all’altro, arrivare comunque.
Immaginate, infine, che tutto questo sia motivato dal solo fatto di aver, nell’era del mondo digitale, scritto alcune opinioni personali su un sito internet. Ecco, ora potete aprire gli occhi, smettere di immaginare. Tornare alla realtà. Non siete più in quella piazza, non state più soffrendo per quei colpi. Siete, magari, davanti al vostro pc, davanti a quel post che voi stessi avete scritto contro il vostro governo o la vostra classe politica o religiosa. Ora, potete scegliere, nella vostra coscienza, di non immaginare più ad occhi chiusi, ma di guardare ad occhi aperti la realtà. Perché, nel gennaio 2015, quel dolore che avete immaginato non è frutto di finzione sognatrice, è frutto di cruda realtà. Succede, oggi. Succede, in quell’Arabia Saudita, tanto cara all’Occidente, che, non molti giorni fa, ha sfilato con orgoglio per la libertà d’espressione al grido “Je suis Charlie”. Succede a Raif Badawi, blogger condannato a 10 anni di carcere e mille frustate, le cui speranze ora sono legate anche al senso di responsabilità civile di ognuno di voi. Smettiamo, allora, per favore, di giocare, di immaginare o, peggio ancora, di guardare dall’altra parte. Smettiamo, adesso, subito.
Scegliamo di tenere gli occhi bene aperti per ritrovare, magari negli occhi dello specchio, anche gli occhi di quell’uomo sofferente in quella piazza. Chiediamo, tutti insieme, prima che sia troppo tardi, l’immediata liberazione di Raif. Perché, in fondo, salvare lui sarà un po’ come salvare voi stessi. Unite anche voi la vostra voce alla nostra, firmate l’appello sul sito internet
http://www.amnesty.it/Arabia_Saudita_attivista_online_apostasia
 
Cosa è successo a Raif Badawi?
Raif Badawi è fondatore di”Free Saudi Liberals”, un forum ideato per discutere del ruolo della religione in Arabia Saudita. Già nel 2008 era stato arrestato per apostasia e rilasciato pochi giorni dopo. In quella occasione, il governo gli aveva proibito di lasciare il paese e nel 2009 aveva congelato i suoi conti bancari. Il 17 giugno 2012 è stato nuovamente arrestato, con la stessa accusa, perché nei suoi articoli aveva criticato figure religiose. Il 17 dicembre 2012, il tribunale distrettuale di Gedda aveva rinviato la causa alla Corte di appello di Gedda, raccomandando che Raif Badawi fosse processato per reato di “apostasia”. Il 29 luglio 2013, il tribunale penale di Gedda ha condannato Raif Badawi a sette anni di carcere e 600 frustate per aver violato le norme del diritto informatico e aver insultato le autorità religiose fondando e gestendo il forum online “Free Saudi Liberals”. Raif Badawi è stato inoltre condannato per aver infamato simboli religiosi pubblicando post su Twitter e Facebook, e per aver criticato la Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio (conosciuta anche come la polizia religiosa) e i funzionari che avevano sostenuto il divieto di includere le donne nel Consiglio della Shura. Contestualmente alla condanna, il giudice ha disposto la chiusura del forum online.
 Dal 17 giugno 2012, Raif Badawi è detenuto nel carcere di Briman, a Gedda. Il processo a suo carico è stato viziato da irregolarità. Secondo il suo avvocato, il giudice nominato per il processo è stato sostituito da un altro giudice, che aveva sostenuto che Raif Badawi dovesse essere punito per “apostasia”. Il 9 gennaio 2015, Raif è stato sottoposto alle prime cinquanta frustate. La flagellazione è avvenuta in pubblico dopo la preghiera del venerdì. La seconda tranche di cinquanta frustate, prevista per venerdì 16 gennaio, è stata sospesa per “motivi medici”.
Non è chiaro se e quando Raif sarà sottoposto ad ulteriori frustate.
5 cose che puoi fare per aiutare Raif Badawi
1. Facciamo pressione su twitter usando l’hashtag FreeRaif. Ecco i profili delle autorità saudite ai quali inviare i tweet:
 – Ministro della Giustizia: @MojKsa
– Società nazionale per i diritti umani: @NSHRSA
 – Ministro degli Esteri: @KSAMOFA
 – Principe ereditario e Ministro della Difesa, principe Salman bin Abdul Aziz Al Saud @HRHPSalman
 Esempio di tweet:
 .@MojKsa @HRHPSalman @KSAMOFA @NSHRSA you have the power to save @raif_badawi from this cruelty. ACT NOW! #FreeRaif
•2. Chiedi alle autorità italiane di agire, ad esempio mandando un tweet al Ministro degli Esteri. Non una frustata di più.
Ministro@PaoloGentiloni chieda alle autorità saudite di liberare Raif Badawi #FreeRaif
3. Contatta l’Ambasciata dell’Arabia Saudita
4. Partecipa alle manifestazioni e ai sit-in
5. Partecipa alla foto-action. Scatta una foto ad un computer, un portatile, un mouse e inserisci nella foto “#FreeRaif” o “Blogging is not a crime” e invia la foto all’indirizzo action@amnesty.it o pubblicala sui social citando Amnesty International Italia
 Per maggiori informazioni e aggiornamenti potete consultare il sito internet: www.amnesty.it

Giorgio Moranda

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