Quella mattina il bosco era freddo, cosparso di granelli di ghiaccio; e i granelli di ghiaccio, volendo diventare a forza acqua, menavano un pò di vapore. Un vecchio gufo, dopo aver gufato tutta la notte, zampettava veloce per recarsi a tana sua. Era ancora buio, ed in mano portava una lanterna.
“Mi sono fatto proprio vecchio, ah, gioventù passata, come vola, come volano gli anni! E la vita non ti dà neanche il tempo di fare un nido come tu vorresti! Mah… è andata come è andata, ed è inutile far lamenti. Quante ne ho viste e quante ne ho fatte… Brr… Brrrr… che freddo. Su su, vecchio barbogio: conta gli anni che ti restano e sta zitto”.
Così farfugliava il vecchio gufo.
All’improvviso, dagli occhi gli caddero a terra due lacrimucce, che nel suo piccolo cervello si erano accavallate immagini di tanti suoi amici morti in gioventù, uccisi dai cacciatori.
Presa da terra una foglia secca, si asciugò.
Il naso non lo soffiò e così potè sentire il lamento, lì poco distante, di una piccola cinciallegra.
Svelto svelto, corse e la scorse.
La cinciallegra tremava tutta, e stava messa tra tante uova rotte e secche. Il vecchio gufo posò a terra la lanterna e arrotolò tra le sue ali il piccolo animale. Poi fissò gli occhietti nel verde dell’albero e scorse il nido ed esclamò: “Il cuculo! Lui è nato cuculo, tu sei nata cinciallegra. Tu cincia, lui cuculo. Quanti cuculi… ci sono, in questo bosco! E… ed io son gufo e poi ci son le volpi e lupi e conigli e rane ed oche… un pò di tutto! Ah, dimenticavo! Dimenticavo i cacciatori!”.
Con il becco afferrò la lanterna e cominciò a zampettare. Poi il vecchio gufo guardò in cielo e disse: “Vedi? Vedi? In cielo non ci son più le stelle: escono di notte e di giorno vanno a letto. Chissà, chissà, come son fatti, i letti delle stelle!”. La cinciallegra tremava, aveva freddo e teneva gli occhietti chiusi, che i raggi della lanterna erano strani e le mettevano paura. “Non aver paura, non aver paura: son buoni i raggi di luce della lanterna”.
Il gufo arrivò a tana sua e lesto lesto si ficcò dentro. Sistemò in un angolo la lanterna e poi, con amore, posò la cincia sul pagliericcio.
Quindi uscì dalla tana e, un po’ qui un po’ lì, catturò dei vermi e con tanta pazienza li tagliò col becco riducendoli a pezzettini e li dette da mangiare al piccolo uccellino.
E la cinciallegra mangiò, si riscaldò e si addormentò. Il vecchio gufo per tanto tempo l’accarezzò. Il vecchio gufo non aveva mai avuto un figlio perché sua moglie gufa non era mai riuscita a far le uova: mah, chissà? Forse per una malattia. E solo una volta ne fece uno, ma dopo un po’, da dentro all’uovo era uscita una mosca.
E il vecchio gufo mise la testa nelle ali e chissà, chissà a cosa stesse pensando, forse proprio all’uovo con la mosca, che quel giorno nella sua tana ci fu una processione, tanti furono gli uccelli incuriositi che lì si presentarono.
Ci fu chi pensò che dentro all’uovo si fosse messo il diavolo, che poi per volar via si era trasformato in una mosca.
Passavano i giorni e la cinciallegra si riprendeva bene, perché di vermi ne mangiava tanti.
Intanto, il vecchio gufo passava interi giorni appollaiato su un grosso ramo che stava fuor della sua tana e si grattava la testa e pensava e si faceva dei ragionamenti: non doveva passar molto e poi la cincia, cresciuta, sarebbe volata via.
Non poteva restar lì: che aveva da farci, lei, con un vecchio gufo?
E il vecchio gufo voleva che la cinciallegra, alla fine, volasse via. Era giusto, era la legge del bosco. Però non voleva… come poteva?
Pure quella era una legge del bosco.
Lei era cincia. Ignara, doveva covar l’uovo di cuculo in mezzo ai suoi, e poi i suoi figli avrebbero fatto ancora quella fine, scaraventati dal cuculo fuor del nido e lei, come prima ancora sua madre, avrebbe cresciuto un cuculo scambiandolo per suo figlio. Che ci faceva con un vecchio gufo? Mah… lui poteva fare il guardiano del suo nido! Cacciare il cuculo! Oh, se… saper capire quale fosse l’uovo del cuculo e buttarlo giù prima che questo si schiudesse e…
La testolina bianchiccia del vecchio gufo, con dentro gli occhietti vispi che luccicavano, pareva menasse fumo. Capì che sarebbe stato inutile dir tutto alla cinciallegra, raccontar la sua storia e poi sperar che lei… Lei era nata cincia!
Era cincia e poi c’era il cuculo!
Poi pensò che vecchi gufi come lui ce n’erano pochi e che… Basta! Quello era il bosco!
La cincia mangiò tanto cibo: di vermi spezzettati andava ghiotta… Ma venne il giorno che la legge del bosco la portò via e il vecchio gufo non le volle mai raccontar la sua storia: lei era una cinciallegra! E quando la vide per l’ultima volta in volo, sperò che dalle uova di cuculo uscissero sempre e solo mosche.
ERIKALUNA