Ogni volta che dico a qualcuno che mi ricordo perfettamente il mio primo giorno d’asilo, questi mi risponde: “impossibile”, invece è proprio così, forse perché è stato un giorno particolarmente importante. Mia mamma, quando avevo 3 anni, mi iscrisse all’asilo parrocchiale (era il parroco del paese il responsabile dell’asilo, che all’epoca era gestito dalle suore), ma quando arrivò il giorno dell’apertura, io avevo la febbre ed ogni volta che tentava di portarmi, accadeva la stessa cosa, sarà perché ero piuttosto gracile oppure perché ci andavo talmente volentieri che mi ammalavo solo a pensarci; visto che bastava frequentarlo anche solo un giorno per pagare l’intera retta mensile.
Mia mamma decise di saltare il primo anno e di portarmi al compimento dei 4, sarei stato fisicamente un pochino più forte. L’anno successivo, eravamo appena tornati da Maderno (bellissima località sul lago di Garda), dove ne avevo combinate di tutti i colori e anche molto di più, mia mamma era molto giù, aveva perso diversi chili nel tentativo di tenermi a bada al punto che il nostro medico gli aveva prescritto una cura ricostituente, – “quest’anno appena l’asilo riapre, parti come una fucilata” – , così mi aveva detto la cara mammina. Era già tutto pronto, i sandalini blu di cuoio, i pantaloncini corti, il mio grembiule azzurro sul quale mia mamma aveva ricamato con il filo rosso, una sedia, mio simbolo identificativo che mi piaceva moltissimo. All’epoca non avevamo ancora la macchina, a portarmi all’asilo sarebbe stata mia mamma, perciò bisognava attrezzare la bici per portare anche me. Mio padre prese la Umberto Dei (marchio storico considerata fra le più prestigiose bici al mondo), di nonna Elena; mia mamma, poverina non ha mai avuto la gioia di possederne una… cominciò a studiarla, finché gli venne un lampo di genio: “possiamo sistemare Giordano sul manubrio, qua in basso faccio un poggiapiedi in legno e lo incastro fra i due tubi”; mi mise sul manubrio della bici e prese le misure per forgiare dal legno l’appoggio per i miei piedini; detto fatto, con una maestria da falegname consumato, servendosi di un falcetto, intagliò un bastone che incastrò nei due tubi, poi mi mise nuovamente sul manubrio per vedere se tutto quadrava. Era tutto ok, però il mio papy, notò che il mio sederino poggiava proprio sull’uncino che comandava il freno posteriore; le bici Umberto Dei, sono state le prime ad introdurre i freni a bacchetta (aste di metallo che tramite leve comandavano la frenata), e raccomandò mia mamma di usare solo il freno di sinistra per evitare che l’uncino mi si piantasse in una natica.
Settembre 1967, comincia il mio primo giorno d’asilo, mia mamma mi aveva svegliato due ore prima della partenza, voleva prepararmi a puntino, i nonni, mio papà, mia sorella, tutti a dirmi: – vedrai come ti piace, potrai giocare assieme a tanti bambini,- io non ero per niente contento, stavo tanto bene a casa, libero di combinare disastri su disastri, ma purtroppo i bambini non hanno voce in capitolo; bisogna ubbidire ai grandi e così mio padre mi mise sul manubrio della bicicletta, raccomandò mia mamma di frenare solo col sinistro, salutammo tutti e partimmo pronti ad affrontare i tre km che ci separavano dalla scuola materna; i primi due di strada sterrata pieni di buche, diedero un massaggio non indifferente al mio culetto, poi arrivati sull’asfalto le cose migliorarono.
Il discorso che affrontammo durante il tragitto con mia mamma e che in casa avevo già sentito altre volte, fu il seguente: – ma è possibile che tutte le volte che mi serve la bici, devo sempre chiedere il permesso a nonna Elena? Il nonno, il papà, perfino tua sorella, ne hanno una, io no, ma perché? Non la merito? Non sono una brava moglie? Non lavoro abbastanza?-, Io ascoltavo ma non riuscivo a mettere bene a fuoco il senso del discorso; solo col passare degli anni e ripensando alle sue parole, compresi che mia mamma voleva essere stimata e considerata maggiormente, ma in seguito, nonostante avessi capito il suo desiderio, la bicicletta non gliel’ho mai regalata nemmeno io, eppure è stata per me una madre esemplare, di certo non gliela posso comprare adesso che ha 87 anni e si muove su una sedia a rotelle. Questa mia mancanza mi fa veramente male, avrei potuto renderla felice con un piccolo gesto, restituirle in minima parte l’immenso amore che a noi tutti ha donato.
Ecco, pedala pedala, siamo quasi arrivati all’asilo, ci siamo di fronte, mia mamma per istinto frena con la leva di destra; l’uncino che sta sul manubrio si pianta nel mio sederino strappandomi un pezzettino di pelle, apriti cielo, ho lanciato un urlo che sembrava la sirena dei pompieri, mia mamma era mortifica: – scusami tesoro mio, non mi sono più ricordata, perdonami -, mi tirò giù dal manubrio e controllò il mio didietro, la chiappetta sinistra sanguinava, arrivarono tre suore, richiamate dal mio terribile urlo, “cosa è successo?”, – “è stato il freno della bici”, rispose mia mamma; mi prese in braccio ed assieme alle suore entrammo nell’asilo, chiese alla suora Madre un cerotto da mettere sulla mia piccola ferita… –Signora, non si preoccupi, ci pensiamo noi adesso a Giordano, lei vada tranquilla -, mi diede un bacione e mia mamma partì, le tre suore mi accompagnarono in una stanzetta dove c’era un armadietto con dentro dei medicinali, – Giordano, tirati giù i pantaloni che ti mettiamo il cerotto – , ma io con le mani tiravo su le braghette e risposi seccamente: – il mio sederino non lo faccio vedere a nessuno -, finalmente dopo breve trattativa, stabilimmo che fosse solo la suora Madre a medicarmi, mi sdraiò su un tavolino ma quando mi disinfettò con l’alcool saltai giù: “bruciaaa”, “aspetta, ti soffio sopra”, finalmente mi venne incerottata una piccola benda ed il mio culetto era a posto; poi mi accompagnarono dai bambini, i più grandicelli stavano giocando fuori, gli altri erano in una stanza con parecchi giocattoli, io stavo in disparte contro il muro, non conoscevo nessuno.
Ad un tratto mi si avvicina un bambino biondo, gracilino e con voce molto alta mi fa: “vuoi giocare con me?, io mi chiamo Maurizio e tu?“, – “Io Giordano” – mi fece mille domande, aveva la mia stessa età però lui l’asilo lo conosceva benissimo perché l’aveva frequentato già l’anno prima, mi spiegò tutto per filo e per segno, mi fece vedere tutti i giochi, era minutino ma pieno di energia, sprizzava una gioia contagiosa, da quel momento iniziò un’amicizia che durò per sempre. Alla elementari, in quasi tutte le classi, fummo compagni di banco, aveva una mente brillantissima, ascoltava la lezione una volta ed aveva già capito, con i problemi di matematica un vero genio, quando notava che inciampavo nella soluzione (sono un po’ duretto di comprendonio), lui girava il quaderno verso di me per farmi copiare il risultato.
Maurizio, è una di quelle persone che se hai la fortuna di incontrare, ti cambiano la vita in positivo. Intendiamoci, non perché mi faceva copiare i compiti ma perché mi ascoltava senza giudicarmi, mi scuoteva nei momenti bui, mi bacchettava pesantemente quando mi comportavo da stronzo, gioiva quando mi vedeva felice, senza invidia o gelosia, perché la mia felicità era anche la sua. Finita la scuola, le nostre strade si sono divise, ma Maurizio rimarrà sempre nel mio cuore, l’averlo incontrato è stata tra le più grandi fortune della mia vita. –
Quando il primo giorno d’asilo terminò e le suore ci richiamarono perché erano arrivati i nostri genitori, Maurizio mi disse: “Giordano, prendiamo i giocattoli che abbiamo usato e rimettiamoli a posto”, (avete capito che tipo era? Ragionava già come uno grande). Fuori dall’asilo c’erano le nostre mamme che ci aspettavano, la mia mi diede un sacco di baci, ma quando mi sollevò per mettermi sul manubrio gli dissi: “io il culetto li sopra non ce lo metto più,” “Giordano, come faccio a portarti a casa?”. La suora Madre ebbe la brillante idea di mettere un giornale sul manubrio per coprire l’uncino, e così partimmo per casa, gli raccontai che avevo conosciuto un bambino, eravamo diventati amici e l’asilo non mi faceva più paura perché non ero da solo… mia mamma era felice nel vedermi così contento, mi fece molte domande, io, seduto su quel manubrio non ero molto comodo, ma era una posizione che a me piaceva moltissimo perché mi permetteva di guardare mia mamma in viso, ero attaccato alle sue braccia, eravamo vicini, la ascoltavo sempre un po’ incantato, e più la osservavo e più pensavo che assomigliava ad un Angelo.
Giordano