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GRANELLO DI SENAPE

Porta seco ricordi la notte, invoglia alla parola, alla condivisone. Stretto lo spazio di cielo che si rivela dalle fessure d’imposte dischiuse. Pensieri a chetichella le ore hanno annacquato d’inquietudine vorace, lesta. Nulla passa, tutto ritorna, in un vortice ossuto di prima e di dopo, di mai e di sempre. Se alla vita potessi chiedere, osare, interrogare, muta resterei innanzi allo sfilare d’immagini remote. Mancanze di certo ma anche gioie e letizie, speranze ridonate alla luna, lacrime ingoiate nelle notti di bufera urlante. Sussurro cheto sorge, prende corpo, forma, parola. Nel tempo della prova incertezza assaliva, tremula, rapida, faceva dell’istante baratro profondo. Malattia ispida, ribelle, inaspettata ha colto, profondamente segnato, la vita di mia figlia e con lei la nostra, insegnandoci per vie traverse, insolite, a vedere e sentire l’esistenza con occhi diversi, che vanno oltre l’apparenza, oltre il velo davanti agli occhi, oltre il visibile.
Se fra le mani potessi accogliere i moniti, premonizioni, certezze assolute di medici e specialisti su quella che sarebbe stata la sua qualità di vita, tremo e piango per la disperazione.
Fede, coraggio quotidiano e costante hanno portato nel tempo la mia Vittoria ad appropriarsi passo dopo passo di un granello di sabbia, pezzo di mondo per farlo proprio in una dimensione che pur scevra della parola è condito di gesti e di sguardi, di mormorii e di gorgheggi.
Spalle ben ritte, occhi attenti, sguardo sbarazzino, vorace vestono la mia Vittoria. Cammina, accelera il passo se interessata, nuota libera e felice portata dalla dolcezza delle acque; abbraccia, partecipa al gioco; solleva stupori, avvolge di tenerezza fonda, avvolge; mette alla prova, sagace s’impone sino ad ottenere quello desiderato.
Inventa coriandoli, fra le sue abili mani riviste e giornali diventano mille figure di colori e fantasia. Si culla, forte abbraccia, dalla musica trascinata verso radure scoscese. Tramestio di una città caotica ci accoglie, un fra i mille viaggi della speranza. Traffico irregolare, fila interminabili di veicoli, lavori in corso, deviazioni, ascensori bloccati abbigliano il giorno di leggera frenesia.

Ospedale Santi Pietro e Paolo di Milano.
Vociare gremito di visitatori, fila di bancarelle innanzi all’ingresso, passi scanditi, sirene d’ambulanze fanno da contorno ad un mattino dai tratti incerti, dalle velature basse.
All’ingresso suono dolce di un pianoforte ci accoglie. Un medico del pronto soccorso approfitta dell’ora di pausa per rallegrare piccoli e grandi. Punta lo sguardo Vittoria, fa capire di volersi avvicinare. Tende le mani, le note pizzica, carezza. Ascolta incantata il fluire delle note.
Poche volte la campane suonano per noi: nei momenti di gioia ed in quelli di estremo dolore.
Oggi, inaspettatamente, tocco di campana ha suonato per noi. Ed è tremore che flette le dita quello che mi prende mentre riporto le parole della dottoressa Rodocanachi, fisiatra referente del centro Rett di Milano. Stupita e felice nel rivedere Vittoria camminare dritta, nell’aver conservato l’uso delle mani; nell’aver trovato nel tempo tranquillità e serenità quasi si commuove e noi con lei ripensando, risentendo sulla pelle sacrifici e rinunce di una vita, azzardi, proposte, rinvii, conquiste ottenute col sangue.
Le sue parole scorrono nella mente, attraversano il corpo, giungono dritte al cuore come balsamo, gioia che non conosce limiti.
“Ha superato il rischio di regressione motoria” afferma e continua: ”Sono molto felice per voi, la vedo bene, serena, maturata, cresciuta. So che avete sempre rifiutato l’uso di psicofarmaci e questo vi fa onore. Le avete donato tempo e spazio, costruito una stanza sensoriale per darle modo di rilassarsi in sicurezza; stati vicini sempre”. In quell’istante guardando mio marito nel profondo dell’animo non sapevo se ridere o piangere, avevo la sensazione di camminare a tre metri da terra, sospesa in una nube irreale e remota.

La regressione motoria porta la maggior parte delle bimbe dagli occhi belli a perdere il cammino, costringendole alla carrozzina, all’immobilità. E’ stato uno dei tabù che da sempre ha trafitto il petto come lancia infocata; che ci ha portato come famiglia a fare il possibile e l’impossibile per evitarlo o perlomeno rallentarlo portandoci ad inventarci continuamente.
Nel confrontarmi poi con Giorgio, nel riassaporare la gioia, nel condividerla, mi son detta che è vero che non l’abbiamo mai abbandonata, sempre sostenuta e spronata, battendo la testa contro i muri, lottando fianco a fianco contro e vicino alle istituzioni ma nulla avremmo potuto operare se non fosse stato voluto da chi sta sopra di noi, dal Buon Dio che mai abbandona.
Nulla sarebbe stato possibile se non fossimo stati sostenuti dagli enti locali, dalla scuola, dalla società. E’ la persona che fa la differenza, nelle piccole e nelle grandi opere.
Chi ringraziare? Tutti i Santi del Paradiso ai quali mi rivolgo quotidianamente; le tre madri in cielo: la mia di nome Maria, Bruna e Rita; il dirigente Tortelli Giorgio, la dottoressa Bertoli Elisabetta, le professoresse Ida Tonti e Daniela Bologna; Stefania Ugolini per la pazienza e premura che ci riserva quotidianamente; tutte le educatrici che si sono susseguite tra cui Sofia, Anna, Barbara, Serena, Vera, Isabella, Sabrina, Alice, Patrizia; la grande famiglia del CVS di Montichiari; la professoressa Galli; la dottoressa Venturini, angelo nei cieli, le dottoresse Calvi e Turganti, il centro acquatico Aquamore di Costel Goffredo, gli amici, la mia famiglia, alle infermiere Sandra e Serena e tutti coloro che hanno contributo a rendere migliore la vita della mia Vittoria, nonostante la malattia, nonostante tutto. E se un giorno avessi modo di riassumere in poche parole l’alternarsi di gesti ed eventi forse potrei sussurrare: “Non sono niente, non potrò mi essere nulla ma a parte questo ho in me tutti i sogni del mondo”.

Milena, la mamma di Vittoria e di Celeste

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