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Florence and the Machine – How Big, How Blue, How Beautiful

Tracklist:
1. Ship to Wreck
2. What Kind of Man
3. How Big, How Blue, How Beautiful
4. Queen of Peace
5. Various Storms & Saints
6. Delilah
7. Long & Lost
8. Caught
9. Third Eye
10. St Jude
11. Mother
Formazione:
Florence Welch – voce
Isabella Summers – tastiere
Robert Ackroyd – chitarra
Christopher Lloyd Hayden – batteria
Mark Saunders – basso
Tom Monger – arpa

Sperimentare in ogni album di una ricca seppur giovane discografia non è affare di molti; riuscire a mantenere questa vena e al contempo semplificare le proprie composizioni, è un progetto che ormai riesce solo a pochi nel panorama musicale odierno. E’ il raro caso dei britannici Florence and the Machine, giunti al terzo lavoro in studio con più qualità da confermare che da dimostrare; insomma, ci si aspetta dal nuovo “How Big, How Blue, How Beautiful” la definitiva maturazione compositiva e un buon numero di vendite. Ancora una volta l’ensemble dimostra di essere sostanzialmente un ibrido tra una cantante solista (l’unica compositrice è la cantante Florence Welch) e un gruppo vero e proprio che supporta la propria cantante in maniera egregia. L’opener Ship To Wreck presenta subito una più marcata componente Indie Rock e un’impostazione meno barocca e sfarzosa rispetto alla ricercatezza dei due precedenti lavori. Questo a lungo andare si dimostrerà una scelta atta a valorizzare maggiormente la voce della Welch rispetto alle trame armoniche create dai suoi musicisti. L’incedere costante e la melodia solare contribuiscono a rendere questo brano un ottima presentazione del disco, dando subito conferma che la band non si è fermata sul successo di Ceremonials e ha deciso di evolversi ulteriormente. What Kind of Man è stato il primo singolo rilasciato, con un’introduzione vocale sintetizzata alla Fever Ray che mi aveva lasciato completamente spiazzato. Nel contesto dell’album invece assume una sua dimensione ben precisa, con le chitarre elettriche a farla da
padrone e una forte influenza da parte del nuovo, orecchiabile, corso dell’Alternative Rock. Si prosegue con l’ascolto e ci si imbatte nella title-track, la quale non delude e conferma le impressioni rock-oriented dei primi due brani. Nonostante ciò, il marchio dei Florence and the Machine è sempre inconfondibile con le ormai consuete sovraincisioni e le tastiere di Isabella Summers in evidenza. L’ultimo minuto presenta una struggente sezione orchestrale di archi e fiati, soluzione ripresa dall’introduzione del pezzo successivo, Queen of Peace, che si rivela più vicino al sound di Ceremonials. Personalmente avrei scelto questa canzone come singolo, ha uno dei ritornelli più belli mai composti dalla band ed ha una melodia che in radio non stenterebbe a farsi spazio tra la mediocrità della musica attuale. Presenti lungo tutto il pezzo i fiati, che impreziosiscono quella che è la perla assoluta dell’album. La prima ballata del disco si ha al quinto episodio, con Various Storms & Saints, brano basato su un imponente crescendo vocale di Florence supportato solo da un arpeggio di chitarra e dalla tastiera che non può non colpire qualsiasi ascoltatore che provi delle emozioni – cioè tutti tranne Rudy Zerbi. Delilah inizia come una canzone calma, ma sfocia in una base tipicamente Indie Rock molto ritmata e che ben supporta il brano, il quale però inizia a mostrare dei primi segni di cedimento all’interno del lavoro. Long & Lost non spicca, ma è comunque un buon brano, così come la successiva Caught, che sarebbe il miglior pezzo nella maggior parte di tutti gli altri album pop usciti in questi ultimi anni. Tuttavia superati questi due pezzi sotto la media generale del disco, si ritorna a fare sul serio con il trittico finale. Third Eye è un pezzo particolare, che unisce i vecchi Florence con i Coldplay di
Mylo Xyloto, dando origine a un pezzo particolare, perfetto da essere cantato ai concerti con le sue sfumature Rock e adatto ad essere anche un potenziale prossimo singolo. St Jude è una canzone che lascia interdetti al primissimo ascolto, ma alla distanza ci si accorge dell’assoluta qualità della stessa: essa spicca per la prestazione vocale di Florence Welch, supportata di proposito da una base minimale. Giusto
collocarla come penultimo pezzo, per lasciare a riposo le orecchie prima della chiusura affidata alla psichedelica Mother, che man mano che si avvia verso il finale diventa un insieme di suoni che salutano l’ascoltatore dopo quasi un’ora di musica godibilissima. Un grande ritorno, quindi; l’unica pecca è la parte centrale da Delilah a Caught, per il resto si può assistere ad una coesistenza di ottimi pezzi in un solo album pop come non se ne vedono molte al giorno d’oggi.
Ottima la prova di tutti i musicisti e della meravigliosa cantante Florence, sempre con un timbro personale e ormai divenuto riconoscibile all’istante. Un appunto importante da fare, sebbene inconsueto per album di questo genere, va alla produzione pulita e nella quale – strano, ma vero – si sente in maniera abbastanza
nitida il suono del basso di Mark Saunders.
In sostanza, il nuovo lavoro dei Florence and the Machine è un quasi capolavoro, ora c’è solo da aspettare il seguito e sperare che si mantengano su questi livelli. Voto 8+.
Carlo Chiesa

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