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Essere stranieri

E’ capitato a tutti di sentirsi stranieri Pensate al primo giorno che siete andati all’asilo. Aggrappati alle gonne della mamma, magari avete pianto perché avevate paura e non conoscevate nessuno e la mamma ha dovuto inventare chissà che cosa per lasciarvi lì. Vi siete sentiti stranieri. Poi siete usciti dal guscio ormai protettivo e sereno della scuola materna e avete affrontato la scuola primaria, compagni nuovi, la cartella più pesante, le maestre mai viste e più distaccate. Sempre attaccati alle gonne della mamma; forse all’uscita è venuto a prendervi il papà e la sera avevate tante cose da raccontare. E poi le faccende sono continuate nello stesso modo, ogni cambiamento vi ha fatto sentire stranieri. E’ capitato anche a me di sentirmi veramente straniero. E la prima cosa per uscire da questa situazione è stato lo studio della lingua. Mi ricordo ancora il senso di solitudine che ho provato a Parigi. Studiavo il francese all’Aliance Francaise. Per arrivarci prendevo treno e metropolitana. Immerso in un mare di gente mi sentivo completamente solo, incapace di comunicare, straniero in tutti i sensi. Mi capitava di girare per ore quando avevo il tempo libero, per ammirare piazze e chiese ed arrivare a sera senza aver scambiato una parola. Solo in mezzo a una folla innumerevole l’unica cosa che riuscivo a dire era chiedere le sigarette, perché allora fumavo, e far contare i soldi alla commessa perché nemmeno capivo quanto costavano. Varie volte ho scoperto come il cominciare a parlare la lingua della gente mi ha tolto dalla situazione di straniero. E’ successo così col Kiswahili, col portoghese, col Chitswa. Si esce dalla situazione di straniero con l’umiltà di chi si accorge di non sapere e si mette nelle mani di chi sa e comincia a fidarsi. Quante cose ho imparato che mai avrei immaginato di conoscere. Mi ricordo la prima pulce penetrante entrata nel piede e che non sapevo cosa fosse e zoppicavo fino a quando ho avuto l’umiltà di dire il mio problema alle infermiere quello che mi stava succedendo. Mi ricorda l’attraversamento del fiume Ulindi su un ponte di liane e i catechisti a raccomandarmi: “Padri, usiangalie chini…” (Padre non guardi in basso)… Preghi l’Ave Maria e proceda sempre guardando in alto. Non si preoccupi di dove mette i piedi. Mai mi era capitato un attraversamento del genere e una volta tanto, insicuro, abbassavo gli occhi per vedere dove mettevo i piedi.
Don Bruno

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