Il sole è tiepido, l’aria fresca, il cielo azzurro.
Un uomo col violino sta suonando “Hallelujah” di Leonard Cohen. C’è il fiume umano del sabato pomeriggio che scorre rumoroso. Ho pensieri e stati d’animo arruffati: il tempo che corre, le cose che restano indietro e quelle che contano, i desideri, la vita che c’è, gli anni vissuti e quelli a venire.
Stare nel senso della propria vita è questione da rinnovare spesso, soprattutto quando la corsa degli impegni lavorativi rallenta o si ferma.
Le risposte che ieri quietavano l’animo oggi appaiono spente: sono lì, ma non vivificano un granché. E passo ore preziose di tempo libero, occupate da una vaga inquietudine, dal fare, dallo stare.
Poi, finalmente, arriva l’ora del giorno che sempre ha il potere di calmarmi: quando il sole inizia a calare e la luce si fa meno invadente.
Mi piace il tramonto: non solo per i suoi colori, ma perché non pretende più molto dalla mia giornata. Anche le incompiutezze e le imperfezioni trovano il loro posto, e per un po’ non reclamano altra attività, altro impegno. Mi posso quietare, e nella quiete ritrovo vita nelle risposte. Il tramonto mi placa, e da lì, da quello stato d’animo, posso guardare lo scorrere della vita e sentirmi a casa.
Significato del titolo: “era già l’ora che volge il disio”
L’ora del tramonto è il momento della giornata in cui inevitabilmente ci si raccoglie e si va col pensiero -specialmente se lontani- ai propri cari e ai propri affetti domestici, vale a dire a quello che abbiamo di più prezioso.
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