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elogio delle abitudini

Voglio spezzare una lancia in favore delle abitudini. Spesso bistrattate, considerate monotone, noiose, roba per chi non ha fantasia né creatività. Io amo le abitudini e mi piace anche cambiare, ogni tanto.
L’abitudine, in sé, non è né buona né cattiva, ma un’esigenza del nostro cervello, che deve semplificare: non può ricreare il mondo ogni mattina, pertanto ha bisogno di poter  contare su un certo numero di automatismi. Da lì in poi, è ciò che facciamo con le nostre abitudini che fa la differenza. Possiamo dormirci su, renderle sterili e opache ripetizioni, oppure renderle vive.
Per esempio, faccio spesso la stessa strada per andare in un luogo. Mentre cammino mi gusto il ritrovare luoghi noti, li osservo meglio, noto particolari che non avevo mai notato: è il piacere di ritrovare punti fermi, ma anche quello di partire da lì per scendere più in profondità. Oppure mi faccio trasportare dai passi che già sanno dove muoversi, che non richiedono troppa attenzione, e penso ai fatti miei, libera dai pensieri sulla strada da fare. Esperienze diverse sulla stessa strada.
Tutte interessanti. E ho capito una cosa: l’abitudine è come rafforzare la trama di un tessuto, a ogni ripetizione la trama diventa più solida, e ti consente di ricamarci su. Su un tessuto sfilacciato non si può ricamare, non tiene. Penso anche all’amicizia. Ci sono amici che sento raramente, e con i quali il dialogo riprende fluido come se ci fossimo sentiti il giorno prima. È un piccolo ricamo su un pezzetto di tessuto. Che però ha dei buchi, delle aree senza trama e senza ricamo. E’ comunque bello, ma l’effetto globale è diverso.
L’amicizia per me, per come sono fatta, ha bisogno di una certa regolarità, di abitudini; bisogna tessere la sua trama e rafforzarla laddove comincia a farsi un po’ più lisa. Su quel tessuto, poi, si può ricamare. Senza quel fondo saldo, rimangono dei buchi, e il ricamo ne risente.
Con questo voglio dire che buona parte della vita è fatta di eventi ordinari, su cui spiccano eventi fuori dall’ordinario. Certo che quelli ci colpiscono di più e così poi tendiamo a scordarci l’umile quotidiano che li ha resi possibili.
Mi piace prendermi cura dell’amicizia alimentandola in qualche modo regolarmente, mi piace tessere il mio quotidiano con atti ripetitivi: sono basi sicure che mi danno la giusta temperatura emotiva. Questo mi fa star bene, mi dà le energie per costruire il ricamo, mi dà equilibrio.
L’equilibrio, però, richiede attenzione, perché le ripetizioni hanno le loro controindicazioni, i loro pericoli: se la cuccia si fa troppo calda, poi toglie le forze, sfianca e intrappola; troppa abitudine, imprigiona; un tessuto troppo spesso impedisce all’ago di entrare.
La soglia è soggettiva. La mia è piuttosto alta, quella di mio marito più bassa. Si deve un po’ mediare, e questo fa sempre bene, ci aiuta a diventare più flessibili, a non irrigidirci sulle nostre posizioni, quali che siano.
Vale anche per il matrimonio. Non è la tomba dell’amore, ma lo può diventare. Dipende dall’equilibrio di tessuto e ricamo che riusciamo a costruire.
Quindi, come per tutte le cose, è l’equilibrio soggettivo che conta. È importante capire ciò di cui abbiamo bisogno e la dose giusta per noi.
E poi ricercarla, monitorarla. Dobbiamo ascoltarci, senza perdere di vista gli altri che sono accanto  a noi, che hanno equilibri diversi, che hanno bisogno di tessiture diverse dalle nostre.
A volte si fatica, a volte si rimane un po’ feriti dalla ruvidezza dei tessuti altrui o spaventati dal loro calore. Comunque, io sono felice di cimentarmi nei tentativi. Alla fine, nel rispetto di me stessa e delle differenze, una strada la trovo. E se non la trovo, pazienza. Non tutti i tessuti stanno bene insieme. Tanti tessuti, tanti ricami. È la vita.
Paola

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