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EL TROCOL

Una decina d’anni fa, più precisamente per l’anniversario dei nostri vent’anni di matrimonio, ci trovavamo (naturalmente assieme a mia moglie) a festeggiare tale evento presso un rinomato ristorante di Canneto Sull’Olio, un posticino che mi era stato consigliato da mia cugina (lei risiede in questo bel paesello). Siamo entrati ed accomodati in un tavolino in fondo alla saletta; poco distante dal nostro tavolo, vi era una coppia di noi un po’ più giovane, aveva con sé un bambino all’incirca di 5 o 6 anni, molto, ma molto vivace che correva e saltava per tutto il ristorante. Tutto ad un tratto si sedette al nostro tavolo e cominciava a parlare, non finiva più.
Arriva il cameriere a prendere le ordinazioni, e lui gli fa: “io voglio una bistecca, le patatine e una aranciata”, allora replico che il bambinello non è figlio nostro, ma di quella coppia là…

Mia moglie che ha il DNA costituito quasi totalmente di bontà: “ma Giordano, che fastidio vuoi che ci dia, può rimanere tranquillamente qua”. Porca miseria ladra, ma a voi sembra normale che debba festeggiare l’anniversario di matrimonio con un monello rompiballe che mi ha rimbambito di fatti suoi? Adesso ne so più io di lui che non i suoi genitori e loro, i titolari di quel bambino, non sono mai venuti a chiedere una sola volta se ci desse fastidio.

Finalmente dopo un’ora di tortura, ed essere passati alla cassa, i genitori del marmocchio sono venuti a ritirare il loro erede: “Spero non vi abbia dato fastidio, è po’ chiacchierone” – e mia moglie: “ma noo, è così simpatico, ci ha tenuto compagnia”.

Io mi domando: ma le donne come fanno a mentire senza battere ciglio, col sorriso sulle labbra? – Io a quella cenetta ci tenevo, l’anniversario è una serata particolare, ideale per rimembrare il posto dove ci si è conosciuti, dove il primo bacio ha unito le nostre labbra, un modo carino per rispolverare sensazioni, emozioni che non devono sopire. Ma il colmo dei colmi doveva ancora arrivare.

Sono andato a saldare il conto e la consumazione della piccola peste che hanno addebitato a me, e lì mi sono girati i marroni, ho cominciato un pochino ad adirarmi, ma mia moglie scuotendomi per un braccio come a dire: “Stai buono, non facciamoci riconoscere” – e così mi sono forzatamente calmato; però prima di andarmene ho chiesto al titolare del ristorante se conosceva i genitori del marmocchio: “Certo che li conosco, lui è un veterinario eccezionale, la moglie invece è una psicologa stimatissima”.

Sulla via del ritorno, discutevo con mia moglie dell’educazione totalmente libertina che quei due straordinari professionisti stavano impartendo al loro figliolo, lasciato allo stato brado come una bestia. Io non dico che i bambini debbano essere cresciuti a sberle o calci nel culo, ma serve polso fermo e regole ben precise se non si vuole che escono di strada finendo in un fosso.

A tal proposito racconto un’aneddoto che fa capire l’educazione che ho ricevuto quand’ero bambino. Avevo 8 anni, vivevo beato e felice nella seconda cascina (era da quasi un anno che avevamo traslocato), mia mamma torna dal mercato di Asola felicissima.
Aprendo una scatola di cartone mi mostra il motivo di tale euforia: – due trocui (zoccoli) di legno dalla tomaia in cuoio e la suola in gomma – ne presi uno in mano e pensai: “Vaccabestia, pesano il doppio delle altre ciabatte, se me ne tira uno in testa ci rimango secco”. Mia mammina infatti, non riuscendo più a raggiungermi correndo, si era dedicata al lancio della ciabatta, centrandomi il più delle volte in testa.

Circa una settimana dopo, ne combino una delle mie (che ricordo perfettamente, ma non voglio scrivere per non dare spunti negativi alle nuove generazioni), siamo in cucina, mia mamma ormai è trasformata in una belva, mi insegue con in mano un trocol attorno al tavolo, di colpo si ferma e me lo scaglia contro con tutta forza, ma io sono lesto e mi abbasso; el supel c’entra in pieno la lastra dell’anta di destra mandadola in frantumi; esco di corsa per evitare ritorsioni.

Quando mio padre a mezzogiorno rientra, io gli vado dietro, volevo essere presente per sentire cosa gli dicesse mia madre: “guarda cosa ha fatto Giordano !!” – indicando col dito la finestra – “E’ no, caro’  al me belo’, è la tua mogliettina che ha rotto il vetro“ – “Disgraziat, di chi è la colpa?” e così dicendo si è tolta di nuovo el trocol tirandomelo violentemente, ma io che non ero bradipo, mi sono subito abbassato e la pesante calzatura ha centrato la lastra dell’anta di sinistra, en plein completo, ho guardato la finestra rotta in toto, mi sono girato verso i miei e con soddisfazione ed orgoglio smisurato ho fatto: tooo’ (il segno dell’ombrello), –  “cancher, staolto’, ta co’pe” –  sono state le ultime parole proferite dai miei genitori prima di lanciarsi al mio inseguimento.

Io ero un fulmine, attraversato il cortile mi sono fiondato nel campo di granturco che costeggiava la cascina, e lì sono stato per mezz’ora, dopodiché i miei hanno cominciato a preoccuparsi, temevano che mi perdessi in mezzo al mais: “Giordanoooo, esciii, non ti facciamo niente, vieni a mangiare“ – Avvicinatomi ai bordi del campo, cominciai a trattare: “mamma, giura solennemente che non farai mai più uso del trocol come mezzo di punizione?”. Solo dopo aver sentito la loro promessa ufficiale, sono uscito e rientrato in casa. Non mi hanno toccato, mantenendo fede a quanto dichiarato, ma a mia volta m’ hanno fatto giurare di non combinare più abominevoli disastri.

Non l’ho raccontato prima, vi spiego adesso perché la mammina si era tanto adirata, al punto di volermi rompere la testa con uno zoccolo: i miei zii di Milano, avevano annunciato una loro visita, cosicché mia mamma per l’occasione, aveva fatto una bellissima torta e comperato una bottiglia di spumante, quest’ultima conservata in cantina. Quando l’ho vista mi è balenato in testa un innocentissimo scherzo: l’ho aperta, badando bene di non rompere la stagnola, ne ho bevuto circa un bicchiere, e poi gli ho ridato la piena pisciandoci dentro, ho richiuso tutto accuratamente, sistemando tappo e gabbietta.

Il giorno dopo arrivarono gli zii, uno di loro stappa la bottiglia, versa lo spumante e l’assaggiano, è stato in quel momento che sono corso fuori, non potevo farmi vedere a ridere. Lo spumante è stato scartato, tutti hanno pensato che la bottiglia avesse il tappo difettoso e l’orribile sapore fosse dato da questo motivo, ma il giorno seguente sono stato sottoposto da mia madre ad un vero e proprio terzo grado (mi aveva visto correre fuori di corsa, voleva sapere perché), ha cominciato a martellarmi di domande: “Sei stato tu? Cos’hai messo nella bottiglia?” – “Sembrava che li avessi avvelenati, e così sono scoppiato dicendo: “ciò solo pisciato dentro !! “.
Vi chiedo e vi domando: può essere questo un valido motivo per voler colpire il proprio figliolo con un pesante corpo contundente???
Giordano

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