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E’ PIU’ APPASSIONANTE LA CORSA VERSO…

Avevo trentacinque anni ed ero impiegato in un ufficio a Bergamo e per servizio dovevo recarmi ogni venerdì a Sondrio. Nel viaggio in treno ho conosciuto Tomaso, un ispettore delle grandi centrali per la produzione di energia elettrica della Valtellina. Diventammo amici. Tomaso, un bell’uomo, ingegnere elettrotecnico, aveva sposato una contessa che aveva possedimenti terrieri a Prevalle in provincia di Brescia, con una grande fattoria agricola, gestita da due famiglie di contadini, ed una cava di marmo rosa in piena attività. Quando il figlio di Tomaso, Cesare, è stato chiamato ad >Edolo nel V° Alpini per il servizio militare, Tomaso mi ha chiesto se ero disposto alla domenica, dietro giusto compenso, a trasportare lui e la moglie alla loro fattoria con la macchina del figlio Cesare.Perché io avevo la patente e non la macchina e lui aveva la macchina e non la patente. La prima volta, alla partenza, Tomaso mi ha sussurrato: “Giuseppe, a noi non importa “quando” arriviamo!” – lasciandomi capire che importante per loro era “arrivare”. Due ore di viaggio ed eccoci a Prevalle. Come scendiamo dalla macchina arrivano gli abitanti della fattoria, ci salutano con entusiasmo e ci baciano le mani, anche a me che mi meravigliavo e mi schernivo ma poi assumevo un atteggiamento di approvazione per il mio imprevisto e insperato passaggio dal proletariato alla nobiltà. Per il pranzo si andava di solito al ristorante “da Catullo” a Desenzano del Garda. Una volta siamo andati a Salò perché avevamo l’appuntamento con Cesare. Quella volta Cesare ci raccontò questo curioso fatto avvenuto proprio in quella cittadina alla fine dell’ultima guerra quando Salò è stata per quasi due anni la capitale della Repubblica Sociale Italiana. Da mettere in evidenza com’era allora la situazione in Italia. Gli Alleati, dopo lo sbarco in Sicilia, risalendo la penisola erano arrivati a Napoli. Il Rè Vittorio Emanuele III°, visto come andavano le operazioni militari, ha dimostrato gran pessimismo ed è scappato in Egitto firmando l’armistizio. Ma i tedeschi che già erano in Italia non hanno accettato, hanno rafforzato le loro forze di occupazione. L’esercito italiano era allo sbando. I militari che non intendevano continuare a combattere a fianco dei tedeschi sono stati considerati prigionieri di guerra e spediti nel lager in Germania. Una buona parte ha aderito prestando giuramento alla Repubblica Sociale Italiana e gli altri sono andati in montagna ad infoltire le brigate partigiane dando così inizio alla guerriglia per la liberazione dai nazisti e dai fascisti. In questo momento eccezionale per la città di Salò c’era anche una nota rosa, che è poi la parte più importante di questo racconto. Da qualche tempo stavano preparandosi per il matrimonio due giovani innamorati: Alessandro, da poco laureato in ingegneria e Giuly, ragazza molto bella, primogenita di una famiglia bene, proprietaria di un’azienda metalmeccanica. Per non finire prigioniero in Germania o al fronte coi tedeschi o coi fascisti, Allessandro si è unito ai partigiani. Gli alleati, americani, inglesi e tutti gli altri, continuano ad avanzare e, per farla breve, dopo aver occupato tutta l’Italia, il 25 aprile 1945 finisce la guerra. Tornano i partigiani. Torna Alessandro e per prima cosa chiede notizie di Giuly. Nessuno sa dov’è. E’ un po’ che non si vede in giro. A sentire qualcuno, che non conosce Alessandro come fidanzato, si sarebbe data alla pazza gioia nelle feste organizzate dal quartiere generale tedesco. Col cuore in ansia l’ha cercata dappertutto. Di Giuly nessuna traccia. La sua famiglia, di origine israelita, è stata deportata in Germana e si nutrono seri dubbi sulla probabilità di un suo ritorno. Un amico che lo aiutava nelle ricerche lo esortava a farsi coraggio ed accettare l’amara realtà. “Forse nella nostra passione vi era più illusione che realtà, ma solo illusioni, quelle che trasportano in cielo mentre con la realtà che dici tu si rimane sempre sulla Terra!”. Inaspettata gli arriva una lettera con queste parole: “Alex, amore mio carissimo, Sono ricoverata qui all’Ospedale Maggiore di Brescia. Vienimi a trovare. Giuly”. Partì immediatamente così come si trovava. All’Ospedale un infermiere lo guidò fra le corsie e all’inizio di una di queste ha letto un cartello: “Malattie veneree”. Alla stanza numero 12 si fermarono: “Ecco, è il letto numero 5”. Alessandro in preda ad un’angoscia indescrivibile, si avvicinò: “Giuly!”. E la ragazza che era stata la sua compagna fin dai tempi del liceo, ha abbassato il lenzuolo che le copriva il viso: “Oh, mio Dio, Alessandro! Non mi sbaglio! Sei tu! Come stai?”. E piangeva come mai l’aveva vista piangere, con un volto così mutato e stanco che stentava a riconoscerla. “Ma che ti è successo?” – E lei sempre piangendo: “Mi hanno diagnosticato un male che non perdona. Forse è sifilide o qualcosa del genere”. “E da quanto tempo sei qui? Come hai avuto il contagio?” “Sono stata presa con la forza e sono stata violentata”. “E non hai pensato di curarti?!”. “Ci ho pensato sì! Ma volevo vendicarmi con l’unica arma che avevo a disposizione. E devi sapere che per i vinti rimasti in città era loro dovere essere cortesi con i vincitori anche solo per la sopravvivenza. Così anch’io li ho contagiati tutti! Tutti! Più di quanti ho potuto! E prima che te lo dicano i soliti pettegoli, te lo voglio dire io: che Giuly, la tua Giuly, la tua promessa sposa, si è fatta la bella vita con gli ufficiali tedeschi sia della Vermatch che delle SS. In città la gente, la più cattiva, mi chiamava: “la donna dei tedeschi!”. “Ma è una vergona!”. Ripeteva Alessandro. “Ma quale vergogna! Dovevo vendicare me e la mia famiglia che è stata sterminata con gli altri ebrei in Germania! Tu sei tornato, la mia famiglia non tornerà più! E voi partigiani cosa avete fatto per fermare i tedeschi quando sono entrati di prepotenza nella nostra città? Era vostro dovere fermarli! Avete preferito andare in montagna a fare la guerra contro i molini a vento! Ho fatto più io contro di loro!. Ne ho ucciso più io di nemici che tutta la tua brigata messa assieme!”. E sempre con la voce rotta dai singhiozzi: “Ma ti dico una cosa: tu potessi anche campare cent’anni, non arriverai mai a vivere tutte le emozioni, le feste, le soddisfazioni e la gioia che ho provato io in questi ultimi due anni! Sono stata coccolata, ammirata, vezzeggiata, invidiata, amata, si tanto amata oltre ogni limite! Dal tuo sguardo capisco che tu pensi che io sia impazzita. Può darsi. Sapevo che il mio cammino era senza ritorno. Il destino è stato crudele con me, ma io non ho nulla di cui vergognarmi! Nulla! Nulla!”. Entra un infermiere: “Per cortesia, vuol essere così gentile di attendere nel corridoio? Stanno per entrare i medici per la visita. Grazie!”. Alessandro, con il cuore in tumulto abbraccia Giuly e la bacia sulla fronte. Non riesce a dire una parola. Sa che Giuly l’ha perduta per sempre. “Che Iddio ti benedica, Alessandro!”. Era Giuly che continuava a ripetere: “Che Iddio ti benedica!”. E c’è chi in consiglio comunale ha proposto di dare a Giuly Giordano la medaglia d’oro alla memoria per MERITI SPECIALI NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE. Giuseppe Paganessi

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