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“CALABROSA”

Avvolge ricopre di magia il mondo mondandola rivestendola di puro bianco candore purpureo ove rispecchiarsi nei mattini freddi e gelidi all’alba, in solitudine a rimirare il giorno che nasce lento e sovrano. Tetti imbiancati, alberi immobili restii e pigri, imprigionati in ragnatele filiformi. Nei ricordi di bambina giochi gai, assieme ai compagni all’uscita di scuola a rincorrersi sui viottoli ghiacciati traballanti, incerti. Silenzio acuto, che osa urlare per non soccombere, quello che regna nei camposanti, ove in fila, allineati se ne stanno i loculi in attesa di corpi nuovi da inghiottire. Tra le migliaia di luci nella moltitudine di visi incorniciati mentre un fitta nebbiolina s’insinua lenta riposa mia madre. Un chiacchiericcio confuso giunge alle orecchie, anziane signore immerse nel ricordo, piangono e ridono ombre scure fra squarci di luci angoli bui fra distese immense. Lascio che lo sguardo corra veloce in orizzontale e verticale incrociando, confondendo lineamenti, occhi, date, espressioni, visioni, gesti in un rullio vorticoso che sa di follia. Poggio la mano Sulla liscia lastra di marmo: aguzzino crudele, secondino valoroso guerriero audace, condottiero veloce baluardo eroico, portatore di segni protettore indiscusso, di sottile linea che separa il nostro dal loro mondo il caduco dall’eterno, l’oggi dal sempre. Stille argentina a goccia cadono flettono le ginocchia dell’emozioni richiamano gli animi assopiti. Tutt’attorno silenzio ancora silenzio vite intrecciate le une nelle altre in viaggio verso l’eterno sospese a mezz’aria frementi e tremanti solitarie e malinconiche tendono forse la mano. Madre Mia madre era mia madre distesa immobile riposa dorme il sonno eterno in se racchiude la vita. Milena, la mamma di Vittoria e Celeste

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