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BRUNO

Ricordo quando ho avuto l’onore e l’immenso piacere di conoscere Bruno, persona più unica che rara. Ero seduto ad uno dei tavolini del bar Brac (storica osteria Fiessese, punto di ritrovo dell’allora mia generazione), domenica pomeriggio, ore 16.30, nella locanda c’erano solo il Signor Battista e la moglie, Signora Teresa, proprietari e conduttori del bar; a quell’ora ormai i miei giovani coetanei erano già partiti per le varie destinazioni di svago (di solito le discoteche più vicine), io non potevo liberarmi prima, dovevo mungere almeno metà delle nostre vacche, prima di lasciare da solo mio padre, altrimenti non avrebbe mai potuto consegnare in tempo il latte al “menalatte”, e così ogni Festa pomeriggio mi ritrovavo da solo a sorseggiare il mio super alcolico (una Spuma), pensando dove andare a spegnere la mia domenica. Il Signor Battista, che si muoveva solo per forza di inerzia (l’autentico volano del bar, era la moglie Teresa), ascoltava la sua Cynar, una radio bottiglia a forma di digestivo, ed annotava minuziosamente tutti i risultati delle partite calcistiche; mi stavo per alzare quando improvvisamente entrò un giovanottone, talmente bello da sembrare un modello, si guardò in giro e mi fa: “scusi Signore, posso sedermi al suo tavolo?”, “Puoi sederti, però fammi il piacere di non darmi del Lei, mi fai sentire un Matusalemme”, “non volevo essere offensivo, sono arrivato da poco a Fiesse e non conosco nessuno”.


Mi raccontò in breve la sua storia: nato a Guidizzolo nel mantovano, di anni 15 (io all’epoca ne avevo 17), un anno prima era stato coinvolto in un terribile incidente stradale mentre guidava la sua vespa, dopo un lungo periodo di riabilitazione, si era rimesso quasi completamente. Era già da un po’ di tempo orfano di padre, una brutta malattia se l’era portato via, la mamma invece era originaria di Asola (Mantova), proprio come mia mamma, e questo fatto ci mise subito in simpatia, inoltre il papà, originario di Fiesse, gli aveva lasciato in eredità una grande e bella azienda agricola, e per questo motivo si erano trasferiti nel mio bel paesello nat’io. Eravamo talmente presi dai nostri racconti di vita che nemmeno ci accorgemmo che ormai si era fatta ora di cena. Tornato a casa raccontai a mia mamma del mio incontro, visto che anche lei era di Asola, chiesi se conosceva la Signora Paolina (mamma di Bruno): “ma per la miseria, certo che la conosco, ha la mia stessa età, abbiamo fatto tutte le elementari assieme ed il più delle volte come compagne di banco, è da quando mi sono sposata che non la vedo, so che si era trasferita dalle parti di Guidizzolo ed aveva sposato un Signore benestante ma poi non ho più avuto sue notizie… ma guarda la vita come è strana, hai incontrato suo figlio per caso, secondo me è un segno del destino”.


Quando in seguito mia mamma ebbe modo di incontrare a Fiesse la Signora Paolina, si riconobbero subito, mi raccontò che l’aveva stretta in un abbraccio indescrivibile, fu un momento di commozione e gioia inspiegabili.
Man mano che passava il tempo, il legame fra me e Bruno si stringeva sempre più, nonostante fossimo diversi in tutto, sia fisicamente che caratterialmente (lui era alto, moro, occhi azzurri, un sorriso talmente luminoso da rischiarare qualsiasi giorno cupo, talmente estroverso e pieno di allegria da risultare contagioso), unica cosa che ci accumunava: la passione per l’agricoltura.


Quando compì 18 anni, decise di lavorare personalmente nella sua azienda che allora era stata affidata ad un contoterzista del posto; acquistò tutta l’attrezzatura (trattori, aratro, seminatrice, ecc, ecc… ) da una azienda agricola che aveva cessato l’attività e si dedicò anima e corpo alla coltivazione dei suoi campi.
Era un grande appassionato di motocross, sua mamma era assolutamente contraria ad acquistarlgli una moto, ma lui insistette talmente tanto e gli promise qualche migliaio di volte che avrebbe sempre guidato con prudenza quindi dovette cedere; gli comprò così una moto 350 cc da enduro. Molte volte sono stato in sella con lui, e posso testimoniare che guidava sempre a velocità moderata (raramente superava i 100), aveva un grande rispetto del codice della strada come del resto lo aveva anche nella vita rapportandosi con gli altri. Siamo andati diverse volte in discoteca assieme, anche se la musica suonata in quel periodo non era abbastanza ritmata per Bruno, lui prediligeva il “pentolame” non parlato, ovvero, quei rumori fortissimi che sembrano generati da un mestolo d’acciaio sbattuto a forza contro le padelle, non conosco il nome preciso di questo genere di musica, lui ci andava matto, io invece quando la sentivo, diventavo matto; andare in discoteca con lui era comunque sempre uno spasso; la sua straripante simpatia e la sua bellezza non passavano inosservati agli occhi delle donne, eppure se una ragazza non gli garbava come modo di pensare o non la riteneva posata nel suo modo di essere (per esempio, se si riteneva superiore alle altre), lui non offriva la sua amicizia; sembrava quasi una cosa innaturale da dirsi, ma non approfittava della sua bellezza per “rimorchiare”.
Quando acquistò la sua prima automobile (essendo alquanto benestante), tutti si aspettavano che comprasse una macchina super lussuosa, ed invece scelse una Renault 4; mi disse: “quest’auto rispecchia perfettamente la mia anima: è semplice, comoda, pratica e rurale”.


Un fatto che non dimenticherò mai è stato quando usciti dalla discoteca Kiss Colossal Music Center di Ostiano, salì sul tettuccio della sua auto, e tenne un comizio politico (all’epoca, mancava una settimana alle elezioni per formare un nuovo governo), iniziò il suo discorso dicendo: “ragazzi e ragazze, il futuro è nelle nostre mani, siete contenti di come va il mondo? Lo vogliamo cambiare?”
E lì cominciò a sciorinare una serie di iniziative che secondo lui bisognava assolutamente attuare per migliorare la vita dei popoli; intanto attorno alla Renault 4 si erano radunate centinaia di persone che lo applaudivano ed acclamavano, concluse la sua propaganda politica dicendo: “cercate sulla scheda elettorale il nome di Antonio La Trippa, e votatelo senza indugio”.
Ce ne andammo dal parcheggio della discoteca accompagnati da uno scroscio di applausi. Bruno era fatto così, ironico, allegro, esprimeva i suoi pensieri a tutti ma sempre rispettando l’altrui persona, vedeva negli altri solo amici.
Ci fidanzammo entrambi (casualmente), lo stesso mese, io con una ragazza di Isola Dovarese e lui con Graziella, una fanciulla di Fiesse (mia cugina di secondo grado), istituimmo fra di noi un patto: anche se impegnati sentimentalmente, un giorno alla settimana ci saremmo sempre incontrati per mantenere viva la nostra amicizia e così ogni venerdì sera uscivamo assieme (io e lui), una volta con la mia macchina, una volta con la sua: il fatto strano è che quando andavamo con la mia auto, lui portava le sue musicassette e mi costringeva ad ascoltare la sua orripilante musica fatta di assordanti rumori.


Era il penultimo venerdì di luglio 1987, quella sera uscimmo con la mia auto, destinazione da stabilirsi, stavamo passando per Remedello Sotto ( piccolo paesino dove abito adesso), sedute vicino all’attuale farmacia, c’erano due Signore a fare filos (una volta pochissimi avevano l’aria condizionata, e nel periodo di calura estiva, soprattutto nei paesi, dopo cena ci si sedeva davanti a casa chiacchierando con i propri vicini aspettando l’arrivo di un po’ di frescura prima di andare a dormire); a Bruno venne una bizzarra idea: in macchina avevo un metro fatto a nastro che al mattino avevo usato per misurare il perimetro di un campo, lo prese ed incominciammo a prendere delle misure davanti alle due Signore, la più anziana incominciò a spazientirsi e ci chiese: “si può sapere cosa state facendo?”, e Bruno: ”ma come, non siete state informate dal vostro comune? Qua davanti verrà creato un ampio parcheggio per le biciclette !”. La Signora più giovane: “col cacchio che fate un parcheggio davanti alla nostra casa”; e da lì nacque una accesa discussione, finché io e Bruno scoppiammo in una fragorosa risata. “Ma allora ci avete preso per il culo? Non avete altro da fare che importunare delle rispettabili donne?” Ci presentammo, e naturalmente ci scusammo, ma il modo di fare, la simpatia, il sorriso splendido e coinvolgente di Bruno, conquistò subito le due Signore che ci dissero essere madre e figlia, purtroppo entrambi vedove, entrammo talmente tanto in empatia, che insistettero moltissimo perché andassimo da loro a bere qualcosa di fresco.


Che bella e lunga chiacchierata facemmo, erano donne di straordinaria saggezza, quando le salutammo ci raccomandarono di andare a trovarle e addirittura ci ringraziarono per aver fatto loro compagnia. Ma un destino crudele aspettava il mio caro amico Bruno: il giovedì seguente mentre di pomeriggio con la sua moto da enduro percorreva la strada che porta a Gottolengo, un km prima di arrivare in paese, su una curva, da una stradina secondaria sbucò all’improvviso un’auto. Nonostante il mio amico non superasse i 100, l’impatto fu terribile e Bruno lasciò sull’asfalto il suo sorriso, i suoi sogni e la sua vita.


Avrebbe compiuto 22 anni dopo quattordici giorni. Il venerdì sera io e mia mamma siamo andati a fargli visita, quando siamo tornati a casa, non sono riuscito a mangiare niente, ho preso l’auto ed ho cominciato a girare, nell’autoradio c’era ancora la sua musicassetta, l’ho messa a tutto volume sperando che il frastuono uccidesse il mio dolore, girovagando sono passato davanti alle due Signore che avevamo conosciuto il venerdì precedente, ma non sono riuscito a scendere dall’auto, a dirgli che quel ragazzo che tanto le aveva divertite, non c’era più.
Se la Signora Paolina (mamma di Bruno), è riuscita a sopravvivere alla scomparsa del suo unico figlio, è merito soprattutto di Graziella, che sempre gli è stata vicina, diventando il suo unico sostegno morale. In quanto a me, del mio carissimo amico conserverò sempre la sua simpatia, il suo dirompente sorriso, e la sua musicassetta, che ascolto a tutto volume quando voglio prendere a calci in culo questa vita tanto ingiusta.
Giordano

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