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Big Screen: DRIVE

Vuoi essere avvisato in anticipo dell’organizzazione di eventi, manifestazioni, rassegne, anteprime cinematografiche e film in programma nella tua zona? Manda un email a: piergiorgio.ravasio@email.it Il regista è uno dei nomi per lo più ignoti al grande pubblico: il danese Nicolas Winding Refn, celebre per i suoi film provocatori e visivamente stimolanti. Le sue pellicole, crediamo, conosciute da una cerchia alquanto ristretta di spettatori, essendo destinate principalmente agli amanti del super cinema d’autore. Debutto registico con un mix di black comedy, tragedia e azione (il violentissimo “Pusher” del 1996); segue “Bleeder” (pellicola molto stilizzata e focalizzata su reazioni introverse rispetto a situazioni esterne), “Fear X” (prima sua incursione nell’ambito dei film in lingua inglese) e “Bronson” (altra pellicola ultra violenta). Fresco di Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, dove è stato favorevolmente accolto dalla critica, ispirato al romanzo pulp di James Sallis, sbarca ora nelle sale “Drive” e l’accoglienza (non ci sarà da stupirsi) sarà al quanto diversa. Driver (le cui fattezze sono quelle di un impassibile ed inespressivo Ryan Gosling, meglio apprezzato in pellicole come “Lars e una ragazza tutta sua”, “Blue Valentine” e “Crazy, Stupid, Love”), si destreggia abilmente nella guida di sfreccianti macchine di grossa cilindrata per le strade di Los Angeles. Una guida impeccabile dalla quale ne esce sempre senza alcun graffio ma altrettanto pericolosa in quanto messa a servizio della criminalità locale. Personaggio di cui si sa poco e alquanto riservato, la sua professione ufficiale (quella di giorno) è fare il meccanico. Shanno è il suo agente che per lui ha un obiettivo: far correre il suo pupillo in un circuito professionale. Ai due si aggiunge un ex produttore cinematografico coinvolto nel vortice della malavita e un amico di infanzia. Il destino di Driver sembra segnato verso un continuo ed irrefrenabile degrado finché un casuale incontro con la nuova vicina di casa Irene (e figlioletto Benicio) segnerà profondamente le sue decisioni future, imprimendo alla macchina della sua vita quell’inversione di marcia che, per ora, sapeva praticare solo sull’asfalto della strada. Non ce ne voglia il regista ma proprio, questa volta, non ci siamo. Trita ripetizione di situazioni fin troppo abusate che, non brillando per originalità, vanno a percorrere un sentiero battuto fin dalle origini della macchina da presa. Il già visto che trionfa sovrano su una pellicola dove a dominare è la lentezza del montaggio, i silenzi e i dialoghi succinti, in un film di genere per nulla vitale (nonostante un indiscusso stile visivo particolare) che non stimola per nulla l’interesse dello spettatore mettendone, invece, a dura prova la benevolenza. Non ci possiamo neanche rifugiare nelle roboanti gare di macchina in stile “Fast & Furious” in quanto non ci stanno neppure quelle. Un po’ di azione, un pizzico di sentimento, una vena di violenza; condiamo il tutto con una colonna sonora anni ’80 e una fotografia degli stessi anni; aggiungiamoci le atmosfere (solo quelle) di altre memorabili pellicole di genere come “Taxi driver” o “Driver l’imprendibile”. Ingredienti che il regista sembra non riuscire a mescolare tra di loro per servirci un bel piatto che non sia la solita minestra. E così, non riuscendo a trovare il giusto impatto emotivo, il risultato diventa quello di sospirare la fine di un incubo che concilia il sonno meglio di un sedativo. Forse è il film che necessita di essere rivisto per una comprensione più profonda. Per ora, visto che si parlava di minestra, consoliamoci con una bella pizza all’uscita dalla sala. a cura di Piergiorgio Ravasio da Bonate Sopra

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