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BAGNI DI REALTÀ

Voglio raccontandovi un’esperienza fondamentale di quest’anno. Cominciata così, come un fulmine a ciel sereno. Perché nella vita capita spesso (sempre?) ciò che non ti aspetti.
Tutti noi ci facciamo i nostri film: desideri, aspettative, credenze, profondamente radicati in noi, così profondamente da essere parte di noi, parte che diamo per naturale, scontata, come il cielo sulla nostra testa. E che per questo non mettiamo mai in discussione, non vediamo mai con occhio critico.
Poi la vita va nella direzione in cui va, diversamente dalle aspettative, dai desideri, dalle credenze, e facciamo duri bagni di realtà.


Ciò che diventiamo dopo quei bagni, attraverso quelle esperienze, può essere una crescita o una semplice sopravvivenza da arrabbiati o da delusi. Dipende dalle risorse che abbiamo, interiori e non.
Quest’anno, un problema di salute di mio marito, di per sé non grave ma invalidante al punto che non gli ha consentito e non gli consente tutt’ora di fare il suo lavoro, ha creato una serie di conseguenze e di difficoltà non indifferenti, su vari piani. Non voglio entrare ora troppo nel personale, che peraltro riguarda lui e la sua storia, comunque questa vicenda è stata -ed è- un grosso bagno. Eppure, quest’anno difficile e faticoso ha lavorato in noi obbligandoci a tirare fuori molte risorse, anche quelle che non pensavamo di avere. Ciascuno le sue.


Il bagno di realtà è un muro contro cui sbatti e che ti obbliga a cambiare strada. Ci vuole tempo per capire che quel muro non viene giù. All’inizio non ci credi, non riesci neanche a concepire l’idea che possa accadere davvero.

Si chiama negazione, ed è la prima reazione di difesa a un evento, una situazione che ti sta cambiando profondamente la vita. Sapevo benissimo cosa fosse, ma quando ci sono stata dentro non me ne sono accorta subito, ho avuto bisogno di tempo per realizzare. Guardavo le crepe del muro pensando fossero spiragli che si sarebbero allargati fino a farci passare. Non è stato così.


Però credere nell’apertura degli spiragli mi ha dato il tempo per abituarmi al cambiamento, per imparare a starci dentro, a navigare in quelle acque. La speranza, anche se un po’ illusoria, mi ha fatto camminare, andare avanti, incontro alla realtà del muro.

Finché l’ho visto, lì, nella sua irremovibilità, mentre già mi stavo muovendo su un’altra strada, quella possibile, scoperta passo dopo passo, giorno dopo giorno. Ecco, quello che ho scoperto di me è che la mia natura da fondista è più forte di quel che pensavo. Non amo le sfide, e se posso fermarmi un passo indietro al limite che sento, mi fermo.

Il muro mi ha costretta a camminare oltre il limite, un passo alla volta, lentamente. Non mi ha sfidata, semplicemente non mi ha lasciato alternative. Un amico mi ha ricordato che anni fa dicevo che se mi fossi ritrovata in una situazione estrema, tipo campo di concentramento, o anche “solo” sopravvissuta su un’isola deserta tipo Cast Away, il film con Tom Hanks, mi sarei lasciata morire, non avrei avuto la forza di lottare per sopravvivere.


Oggi non lo direi più. Oggi dico che proverei a vivere, un giorno alla volta.
E lo dico perché lo sento, perché il cammino percorso mi ha dato fiducia nelle mie forze, mi ha fatto sentire che le gambe reggono, mi ha dato un passo possibile che alterna sforzo e riposo, tenuta, scoramento, ripresa.
Ad oggi, fin qui. Domani si vedrà.


Mio marito invece ha imparato cose diverse, ha sperimentato altri percorsi. Da lottatore, sfidante, ha dovuto imparare la resa, sperimentare il reset delle sue forze per trovarne di nuove, di tipo totalmente diverso.
Lo stesso muro ha richiesto a ciascuno di noi risorse differenti per essere affrontato. E il lavoro continua. I bagni di realtà fanno sempre paura, ma possono essere fonte di salute psicologica. E grazie ai muri che non vengono giù, scopri sentieri che mai avresti percorso. Nel bene e nel male, nelle possibilità e nei limiti.
È stato un anno faticoso, e ancora lo è. Ma un anno prezioso. E il cammino continua…

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