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Autismo: il Mostro del Silenzio La Pescatrice di Voci (Quinta parte) – Autrice: Daniela Vanillo

Una storia sussurrata
a piccoli passi.

Da quel giorno sono passati sedici anni . Siamo nel gennaio del 1999. Colma di rabbia per quello che era successo nell’asilo precedente, iniziai a vagare per la città con l’elenco delle “Pagine Bianche” in macchina e gli indirizzi di tutte le scuole materne presenti nella zona, evidenziate in giallo. Non potevo certamente permettermi di telefonare, non sarebbe bastato. Dovevo andare di persona con la bimba. Lei è in macchina con me, seduta nel sedile posteriore. La guardo dallo specchietto retrovisore dell’auto e mi perdo con un sorriso nei suoi occhi azzurri. Mi assalgono sempre gli stessi pensieri: “Come sarebbe stata la mia vita se…”. Ho un groppo nella gola e mi devo fermare. Mi dico: “Cosa faccio?” È sempre la stessa sequenza di pensieri ricorrenti. Ma poi mi riprendo. Di solito è così. Ricordo una persona molto cara che mi ha sempre detto che: “Per saltare più di un metro devi fare un passo indietro” ed io i passi indietro li ho sempre fatti. A volte impossibili, ma mi hanno dato lo slancio per saltare quel metro in più che corrisponde alla soluzione della quale ho bisogno in quel momento. Questa prova l’ho fatta realmente e sono riuscita a saltare più di un metro indietreggiando di un passo, non sono riuscita a farlo in altro modo. Fate la prova! Per saltare più di un metro devi fare un passo indietro!  Per saltare più di un metro devi fare un passo indietro! In questo asilo mi faranno molte domande, quelle solite di circostanza: “Come mai ha ritirato la bambina a gennaio? E come mai da uno degli asili più in vista della città? di quel calibro e così ben nominato?”. Ma la mente, mente e ti propone il risultato delle tue paure e non la realtà che non è ancora accaduta. Allontano i pensieri guardando dal finestrino della macchina, mentre mi asciugo gli occhi con le mani. Ora mi trovo in una via dove ricordavo esserci  una scuola materna. Passando per anni nell’andare a casa avevo sempre notato tantissime auto parcheggiate sul marciapiede ed in doppia fila che, in certi orari della giornata, creavano problemi al traffico. In passato mi avevano raccontato che c’era una scuola privata frequentata da bambini che seguivano un metodo “adattivo”. Mi avevano raccontato che era una scuola piuttosto strana poiché tutto era a dimensione di bambino. Applicavano un insegnamento adattivo e differenziato, basato sull’osservazione del bambino. Ai tempi in cui avevo sentito parlare di questa scuola, ero poco più di una ragazza, lavoravo in uno studio commerciale in prossimità dello stesso viale. Ogni mattina passando notavo le auto parcheggiate in modo irregolare, precario e disordinato, con le quattro frecce che lampeggiavano frettolosamente, in perfetta sintonia con il suono dello sbattere delle portiere e dello scalpitio dei passi frenetici dei genitori. Una specie di guerriglia mattutina, un fragile equilibrio fra la pazienza dei condomini del palazzo situato vicino alla scuola ed i genitori dei bambini. Quando la pazienza terminava, arrivava il corpo della polizia locale. Assorta dai miei pensieri, scesi dall’auto parcheggiata così, come avevo visto fare per anni e presi Maria in braccio.
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