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APPARTENENZA

Qualche giorno fa, noi coscritti del 63, abbiamo festeggiato il sessantesimo anno di esistenza; oddio, dire festeggiare sembra un eufemismo, però (secondo me) è importantissimo ritrovarsi tutti assieme almeno una volta all’anno per raccontarci la nostra vita: alti e bassi, momenti di gioia e dolore, condivisi con persone che conosci fin dall’asilo; da un senso di gioiosa, familiare appartenenza.

Certo, molti di noi non risiedono più a Fiesse (nostro paese d’origine), ma io sento di essere una foglia di un’albero le cui fronde si sono allungate oltre il confine, ma le cui radici sono ancora nutrite dalla stessa terra. Ogni tanto il ritrovarsi tutti assieme, è un po’ come assorbire la rugiada che si posa sulle foglie dell’intero albero e da un senso rivitalizzante alle nostre vite, fatte a volte di routine quotidiana; uno scambio di vicendevole affetto.


Ricordo come fosse ieri (anche se parliamo del 1993), i nostri primi trent’anni di vita, festeggiati presso un agriturismo all’epoca agli albori (diventato in seguito il Prato Blu), un bellissimo cascinale dove era presente oltre alla nostra classe anche quella del 1933.

Loro “festeggiavano” il sessantesimo, noi trentenni li guardavamo con un pizzico d’ironia, facendo dei commenti sulla fresca bellezza delle “nostre” donne rispetto alle “loro”, logicamente non c’era paragone. Poi, verso le 22.00, ha cominciato a suonare un’orchestrina di liscio, composta solamente da un uomo, una donna ed un organo elettronico, erano di una bravura che nulla avevano d’invidiare ai gruppi più famosi; le loro note riempirono l’atmosfera di leggerezza e giovialità.

Un signore della classe maturi (1933), si avvicinò a noi dicendo: – forza ragazzi, venite in pista, balliamo tutti assieme, l’orchestra l’abbiamo invitata noi, ma la musica e la festa è di tutti, non siate timidi. – Non ce lo facemmo ripetere due volte, così il bellissimo piazzale antistante la cascina si riempì di coppie “volanti”, dapprima si ballava solo con le nostre coscritte, poi le classi si mischiarono e mi capitò di danzare con una matura signora, sembrava una libellula tant’era brava a ballare.

Il vantaggio del liscio è che ti permette di poter rispettosamente “abbracciare” la tua dama, e dialogare con lei: incominciammo a parlare, mi fece molte domande… quando le dissi che dopo qualche mese mi sarei sposato, dall’alto del suo vissuto, mi volle dare qualche consiglio sulla vita matrimoniale; poi l’ultimo valzer mi chiese di farla girare girare girare: – Giordano, quando giri, non ti sembra che i pensieri prendano il volo e la mente si liberi di un peso? –  


È una frase questa che mi è rimasta impressa, credo proprio che quella matura e saggia signora avesse ragione. Quando penso che sono passati trent’anni da quel giorno, un po’ rabbrividisco, ma dove sono finiti? Adesso siamo noi i sessantenni, mi ritrovo con un corpo che non riconosco, un appesantito fisico entro il quale dimora un perenne immaturo ragazzino, e quando mia figlia mi domanderà nuovamente: – papy, adesso metterai la testa a posto? – Le risponderò come sempre: – io l’ho già messa a posto, il problema è che non ricordo in quale posto l’ho messa -.


Voglio tornare a qualche giorno fa, quando noi sessant’anni eravamo riuniti attorno ad un lungo tavolo a festeggiare la nostra classe di ferro (un po’ arrugginito): il ritrovarsi tutti assieme noi che ci conosciamo da sempre, dialogare, aprirsi agli altri, ascoltare gioie e dolori che inevitabilmente tutti incontriamo, è come dare una mano di vernice antiruggine al nostro io, è una valvola di sfogo che fa bene alla nostra testa perché alleggerita dai pensieri più cupi.

Anche se il nostro fisico non è più quello di un tempo, quando si respira l’affetto di una grande famiglia, tutto il nostro corpo ne trae un beneficio immenso. Mi auguro proprio che questa tradizionale festa di classe si perpetui sempre, fino a quando l’ultima foglia rimarrà attaccata al ramo del nostro albero, e poi, ci ritroveremo tutti assieme, in corpi che il tempo non potrà mai più scalfire.
Giordano

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