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ANDREJ ARSEN’EVIC TARKOVSKIJ ZAVRAZ’E

Andrej Arsen’evic Tarkovskij Zavraž’e, 4 aprile 1932 – Parigi, 29 dicembre 1986) è stato un regista, sceneggiatore, montatore, scrittore e critico cinematografico sovietico. Il suo cinema è caratterizzato da lunghe sequenze, da strutture narrative atipiche e non convenzionali, da un distinto uso della fotografia cinematografica e da tematiche di tipo spirituale e metafisico. I suoi film più famosi come Stalker, Solaris e Andrej Rublev sono considerati universalmente tra i più grandi capolavori della storia del cinema.


Biografia
Tarkovskij nacque il 4 aprile del 1932 a Zavraž’e, nella oblast’ di Ivanovo, un piccolo villaggio sulle rive del Volga, figlio di Arsenij Aleksandrovic Tarkovskij (il padre di Arsenij fu principe regnante del Daghestan), poeta, e di Marija Ivanovna Višnjakova Tarkovskaja (1907-1979), donna dal carattere forte e dalla profonda religiosità, a lungo impiegata presso una tipografia. Enorme per Tarkovskij fu l’importanza del rapporto con i genitori, fatto di amore viscerale per la madre, e di lontananze e incomprensioni col padre, il quale abbandonò la famiglia nel 1935, quando Andrej aveva tre anni, per ritornarvi nel 1945, dopo la guerra. In questa occasione il padre tentò di portare Andrej via con sé, ma la madre glielo impedì.

Anni cinquanta
Nel 1952 Andrej si iscrive all’Istituto di Studi Orientali dell’Accademia delle Scienze di Mosca (Moskovskij Institut Vostokovedenija) e inizia a studiare arabo. Influenzato dalla religiosità della madre, si trova molto a disagio nell’ambiente accademico ateista dei più duri anni dello stalinismo. Nel 1954 abbandonò gli studi e, seguendo il consiglio della madre, andò a lavorare come geologo raccoglitore nella taiga siberiana. Il contatto con la natura durante le lunghe escursioni lo aiutò a ritrovare stimoli e a riconquistare una spiritualità che gli studi avevano minato. Il periodo della taiga siberiana fu oggetto di una sceneggiatura del 1958 che, però, non fu mai trasformata in pellicola: Concentrato (koncentrat). Il titolo si riferiva al capo di una spedizione geologica, che aspetta la barca che riporta i “concentrati” dei minerali raccolti dalla spedizione.
Nel 1956 Andrej Tarkovskij ritornò a Mosca e si iscrisse al VGIK (Scuola Superiore di Cinematografia), la più prestigiosa scuola di cinema dell’Unione Sovietica. Vi seguì i corsi di Michail Romm, quotato regista del periodo, esponente di quel realismo socialista che andava per la maggiore in quegli anni. Romm, al di là delle sue personali scelte estetiche, si dimostrò un uomo di larghe vedute e, sotto la sua ala, Tarkovskij poté sviluppare le proprie idee, cosa di cui fu riconoscente al maestro, verso il quale ebbe sempre parole di grande stima. Al VGIK Tarkovskij iniziò: primo titolo è, nel 1956, Gli uccisori (Ubijcy), un cortometraggio che riprende uno dei più celebri racconti di Ernest Hemingway, e in cui Tarkovskij compare anche come attore nel ruolo di cliente del bar, a cui seguirà l’anno dopo il mediometraggio: Non cadranno foglie stasera (Segodnja uvolnenija ne budet). Questa opera è più complessa rispetto all’esordio e racconta di un manipolo di militari che si occupa dello sminamento di una strada dove sono rinvenute bombe della seconda guerra mondiale. Il film, pur inserendosi idealmente in una certa cinematografia storiografica sovietica post, sbellica rivela, per il gusto della inquadratura e per la sceneggiatura tesa, il talento del regista.

Anni sessanta, settanta, ottanta
Nel 1960 Tarkovskij si diplomò presentando Katok i skripka, un mediometraggio che racconta l’amicizia tra un bambino che studia violino e un operaio asfaltatore. In questa pellicola si cominciano a cogliere alcune idee visive che troveranno ampio spazio nei successivi lungometraggi: un certo gusto per le visioni oniriche (come la sequenza caleidoscopica) e il tema dell’acqua, sempre presente nei film successivi (ad esempio gli alberi che si specchiano nelle pozzanghere dopo l’acquazzone).
Nel 1962 uscì L’infanzia di Ivan (Ivanovo Detstvo), il primo lungometraggio di Tarkovskij. Il film fu presentato al festival di Venezia, e vinse il Leone d’oro ex aequo con Cronaca familiare di Valerio Zurlini.
Con questo film, lirico e personale, iniziano le prime incomprensioni con il regime che, quando nel 1966 Tarkovskij girò Andrej Rublëv, diventarono un’aperta ostilità che influenzò tutta la carriera del regista.
Dopo lunghe pressioni, che videro intervenire persino il ministro francese per la cultura, il film, nel 1969, arrivò al festival di Cannes, dopo aver subito alcuni tagli e “correzioni” al montaggio. Il successo fu enorme, il film vinse il premio della critica internazionale e fu proiettato in tutta Europa, suscitando ovunque entusiasmi di critica e pubblico. In patria, però, Andrej Rublëv fu proiettato solo nel 1971, riscuotendo un buon successo.
A partire dall’aprile del 1970 Tarkovskij iniziò a scrivere un diario che tenne con continuità sino agli ultimi giorni. Contiene il resoconto delle traversie burocratiche e delle complesse vicissitudini umane di Tarkovskij e costituiscono, assieme a Scolpire il tempo, col quale Tarkovskij definisce la propria idea estetica, il più importante documento sulla sua vita e le sue opere. Nel 1972 Tarkovskij realizzò Solaris, tratto dall’omonimo romanzo di Stanislaw Lem. Il film racconta una spedizione scientifica sul pianeta Solaris, un pianeta in cui avvengono strani fenomeni. Kris Kelvin, lo scienziato inviato a risolvere il mistero, scopre che l’oceano del pianeta è una vera e propria entità senziente che materializza il passato e i ricordi. Terminato Solaris Tarkovskij iniziò a lavorare a Un bianco giorno, un film a carattere autobiografico, che uscì nel 1974 con il titolo definitivo Lo specchio (Zerkalo). Si tratta senza dubbio del film più personale ed ermetico del regista. Tra le altre idee sviluppate mai tradotte su schermo figurano la riduzione de L’idiota di Dostoevskij al quale lavorò dal 1971 al 1983 quando, ormai esule, capì che non avrebbe mai girato un film sul Vangelo di Luca.
Nel 1983 uscì Nostalghia, girato in Italia nella campagna senese, il suo primo film fuori dalla Russia.
Nel 1985, grazie all’interessamento di Ingmar Bergman, Tarkovskij si recò in Svezia per girare Sacrificio (Offret), il suo ultimo film. Sacrificio uscì nel 1986 e fu presentato a Cannes suscitando entusiasmo unanime. La Palma d’oro però andò a Mission di Roland Joffé, scatenando fortissime proteste perfino da parte del presidente francese François Mitterrand, che parlò addirittura di “scandalo”. La malattia uccise Tarkovskij nella notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1986 in una clinica di Parigi. I funerali si svolsero il 3 gennaio nella cattedrale ortodossa di Sant’Aleksandr Nevskij e Mstislav Rostropovic.

IL VIAGGIO
C’è un solo viaggio possibile, quello che facciamo nel nostro mondo interiore.

Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta.
Così come non credo che si viaggi per tornare.

L’uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perché nel frattempo, lui stesso è cambiato. Da sé stessi non si può sfuggire.


Tutto quello che siamo lo portiamo con noi.
Portiamo con noi la casa della nostra Anima, come fa la tartaruga con la sua corazza.


In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo
è per l’uomo un viaggio simbolico.


Ovunque vada
è la propria Anima che sta cercando.
Per questo l’uomo deve poter viaggiare.

Andrej Tarkovskij

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