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40 CARATI

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L’uomo sul cornicione (“Man on a ledge”, questo il titolo originale della pellicola) è una frase che, in gergo, è molto nota alle forze dell’ordine: è un termine ben preciso, usato dalla polizia, per identificare una persona in cima ad un edificio e in procinto di lanciarsi nel vuoto; e questo nella speranza (siamo sempre nell’ordine delle statistiche) di soddisfare quel 50% di curiosi che, guardando da sotto, sperano in un lancio nel vuoto; magari ripreso con il solito telefonino sempre a portata di mano. James Cameron lo ha scelto come protagonista di “Avatar”; la Warner Bros lo ha voluto per interpretare Perseus nel blockbuster “Scontro tra titani”; ora il regista Asger Leth chiama a rapporto Sam Worthington per fargli indossare i panni di Nick Cassidy. Nick lo conosciamo, nelle prime scene, come soggetto non ben identificato, vestito da uomo d’affari, che esce dalla metropolitana di New York e prende una stanza in un albergo di lusso in centro. Ordina un ricco pranzo, con champagne ed aragosta, scrive un biglietto (“Come sono entrato in questo mondo, ne uscirò: innocente”) e poi si piazza sul cornicione della sua camera. L’aspirante suicida è un ex agente della polizia di New York, attualmente detenuto e condannato a 25 anni per un crimine che lui asserisce di non avere commesso. L’antefatto viene spiegato quasi subito con un flashback: mentre Nick è alle prese con un lavoro in nero (scortare un rarissimo e costosissimo brillante Monarch), la pietra viene rubata e l’uomo d’affari David Englander (l’Ed Harris di “A history of violence”, “The Truman Show” e “A beautiful mind”) cerca di incastrarlo per la sparizione facendolo mettere dietro le sbarre per 25 anni, cosa che permette al magnate di incassare i soldi dell’assicurazione. Mentre si ritrova in carcere, sopravviene la morte del padre. Occasione per il detenuto di ottenere un permesso per partecipare al funerale. Sarà il modo giusto per attuare quel piano di fuga che, con scene di inseguimento a ritmo frenetico, ci riporterà sul cornicione di 35 centimetri a 78 metri sopra il centro di Manhattan.

La negoziatrice Lydia Mercer, figura controversa all’interno delle forze di polizia, avendo recentemente fallito il tentativo di aiutare un altro uomo che voleva suicidarsi (interpretata da Elizabeth Banks, la giornalista che Sam Raimi ha voluto nella saga “Spiderman”) tenta in tutti i modi di dissuaderlo dal compiere un gesto folle. Ma, dopo qualche insistenza, scoprirà ben presto che, all’insaputa di tutti, la scena del possibile suicidio è solo il tentativo di coprire il più spettacolare furto di brillanti di tutti i tempi. “40 carati” è una pellicola dal montaggio ben costruito, che scorre fluidamente nella sua estrema semplicità e che, da un punto di vista tecnico, ha un’indubbia incisività: quella di essere una storia eccitante che tiene lo spettatore in continua suspense. Esattamente come il protagonista rimane sopra il cornicione, così lo spettatore in sala rime attaccato alla poltrona fino all’epilogo finale dell’intera vicenda. Quella della redenzione di un uomo che mette in gioco tutto pur di riscattare la propria credibilità e riprendersi in mano la propria vita. Forse è merito del regista Asger Leth che, con molti documentari alle spalle, si cimenta ora con il suo primo lungometraggio nel quale mette a frutto le qualità e le tecniche usate nel raccontare storie di vita reale. O forse è merito dell’indovinata scelta di attori che lo stesso decide di prendere a bordo (tra i quali anche un gradevole Jamie Bell, la star di “Billy Elliot” e dei recenti “The Eagle” e “Jane Eyre”). Senza ambizioni particolari o pretese culturali, la pellicola giostra a dovere, risolvendosi in un piccolo appassionante film perfetto per passare il tempo e godersi un’elettrizzante serata.

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